Truffe: perché siamo affascinati dai raggiri finanziari e da chi li subisce

Truffe: perché siamo affascinati dai raggiri finanziari e da chi li subisce

Perché siamo attratti dalle storie di truffe finanziarie

C’è qualcosa nelle truffe finanziarie che ci ipnotizza. Che si tratti del racconto di Bernie Madoff, dello schema Ponzi reinventato in salsa moderna o dell’ennesimo guru delle criptovalute sparito con milioni di dollari, siamo irresistibilmente attirati da queste storie come falene verso la luce. Ma perché? Cosa ci spinge, anche quando non siamo le vittime, a divorare libri, podcast, docuserie e articoli su questi raggiri? Perché ci sentiamo più coinvolti da queste narrazioni che da tante altre storie vere e drammatiche? Per rispondere a queste domande bisogna addentrarsi nel cuore pulsante della psicologia del raggiro, dove si intrecciano fascino del rischio, avidità, desiderio di rivalsa, illusione di controllo e, forse, anche una punta di soddisfazione nel vedere smascherati i furbi. Le storie di truffe non parlano solo di soldi. Parlano di fiducia tradita, di ego, di inganno costruito con maestria e di quella zona grigia in cui la morale vacilla e l’avidità trova terreno fertile.

Ogni grande truffa è una forma di narrazione. Non solo per come viene raccontata dopo, ma per come viene costruita in origine. Il truffatore è, prima di tutto, un narratore. Racconta una storia credibile, seducente, irresistibile. Una storia in cui l’interlocutore si riconosce, una storia dove i numeri sono al servizio del desiderio e l’apparente razionalità è solo un palcoscenico per l’emozione primitiva che guida ogni decisione: la paura di perdere un’occasione. Questo aspetto è cruciale: le truffe più riuscite non fanno leva su promesse troppo belle per essere vere, ma su promesse abbastanza verosimili da sembrare eccezioni fortunate, occasioni riservate, privilegi conquistati. Ed è proprio in quel margine, tra sogno e possibilità, che si infiltra la manipolazione.

Siamo attratti dalle storie di truffa perché parlano di noi, anche quando pensiamo che siano “cose da ingenui”. Perché ci mostrano quanto sottile sia il confine tra intelligenza e ingenuità, tra ambizione e accecamento, tra esperienza e vulnerabilità. Ci piacciono perché ci rassicurano: ci fanno credere che noi non ci saremmo cascati. Ma al tempo stesso ci mettono alla prova, ci costringono a chiederci: “Davvero non ci sarei cascato?”. C’è una componente quasi voyeuristica in tutto questo. Vedere come un’altra persona è stata raggirata ci dà un senso di controllo, ci fa sentire superiori, protetti. Ma al tempo stesso stimola la nostra curiosità per il proibito, per la trama perfetta, per l’inganno geniale. Più il truffatore è brillante, più ci affascina. Nonostante il danno prodotto. E anche se eticamente lo condanniamo, ne ammiriamo l’arte.

L’avidità è uno specchio. Non è solo quella del truffatore, ma anche quella della vittima. Spesso chi viene truffato ha accettato un rischio eccessivo pur di ottenere un vantaggio sproporzionato. E questo ci parla di una dinamica molto umana, che la finanza ha solo reso più evidente: il desiderio di scavalcare il sistema, di vincere facile, di ottenere senza faticare. Le storie di truffa sono parabole contemporanee, moderne fiabe nere dove il protagonista cerca la scorciatoia e si perde nel bosco. E come tutte le fiabe, hanno un potere educativo. Ma a differenza delle fiabe tradizionali, spesso queste storie non hanno un lieto fine. Oppure ce l’hanno solo per chi guarda da fuori.

C’è poi un elemento sociale che rende le storie di truffe irresistibili. Sono grandi livellatori morali. Milionari e persone comuni, esperti e sprovveduti, tutti possono cadere nella rete. E questo le rende universali. Quando una star di Hollywood viene truffata da un finto banchiere, ci sentiamo meno stupidi. Quando un premio Nobel si fa coinvolgere in un investimento fasullo, ci sentiamo meno in colpa per aver abboccato a una catena di Sant’Antonio su WhatsApp. La truffa è democratica. Nessuno è davvero immune, solo alcuni sono più fortunati, o più cinici, o più diffidenti. Ma non più intelligenti.

C’è anche un’altra ragione per cui queste storie ci incollano allo schermo o alla pagina. Sono strutturalmente perfette. Hanno un inizio avvincente, una fase di costruzione, un’escalation e poi il crollo. Sono thriller veri, con colpi di scena, maschere che cadono, rivelazioni clamorose. E, spesso, una caccia all’uomo che richiama le migliori sceneggiature. Sono storie “da film” che però sono accadute davvero. Questo corto circuito tra realtà e finzione è potentissimo. Ci coinvolge perché ci interroga, ci mette davanti al fatto che anche la realtà può essere più spettacolare della fantasia. E perché, in fondo, anche noi, almeno una volta nella vita, abbiamo mentito un po’ per ottenere qualcosa. Forse non una truffa, ma un piccolo raggiro quotidiano, una promessa fatta per convenienza, una verità omessa. Le grandi truffe riflettono, in forma gigantesca, i meccanismi che ogni giorno agiscono nel piccolo.

Il fascino del rischio gioca poi un ruolo fondamentale. Non solo nel momento in cui una persona decide di fidarsi di un sedicente consulente finanziario o di investire in un progetto fumoso, ma anche nella fruizione della storia. Seguire una vicenda di truffa è come seguire un gioco d’azzardo narrativo. Chi vincerà? Fino a che punto arriverà il truffatore? Quando sarà scoperto? Ci sarà giustizia? Questo continuo alternarsi di tensione e sorpresa tiene il lettore o lo spettatore avvinto. E funziona proprio perché le truffe agiscono su quella parte di noi che ama sfidare l’incertezza. Anche solo per procura.

Infine, c’è una componente profonda, quasi archetipica, nel modo in cui reagiamo a queste storie. Il truffatore è il trickster, il giullare malizioso che sovverte le regole, l’imbroglione mitologico che smaschera la fragilità dell’ordine costituito. E come in ogni mitologia, il pubblico è ambivalente: lo teme ma lo ammira, lo condanna ma lo segue. Il truffatore, quando raccontato bene, diventa un personaggio tragico e magnetico, proprio come i grandi antieroi della letteratura. Non è un mostro, è un uomo con delle crepe, un manipolatore nato, ma spesso anche un insicuro, un esibizionista, un vendicatore sociale. E la vittima, a sua volta, non è sempre del tutto innocente. A volte è una vittima della propria brama, della propria presunzione, della propria fretta. Questo intreccio di ruoli, dove nessuno è totalmente buono o cattivo, rende ogni storia una riflessione sulla natura umana.

In un’epoca in cui tutto è misurabile, in cui ci illudiamo che i numeri ci proteggano, la truffa ci ricorda che il fattore umano resta dominante. Che la fiducia, una volta tradita, è più devastante della perdita economica. Che il bisogno di credere è più forte della razionalità. Che basta una narrazione ben costruita per farci abbassare le difese. Forse è per questo che continuiamo ad ascoltarle, a leggerle, a raccontarle. Non solo per evitare di essere truffati. Ma per non dimenticare che, dentro di noi, il confine tra vittima e carnefice è più sottile di quanto crediamo. E che solo la consapevolezza ci tiene davvero al sicuro. O almeno, ci illude di farlo.

 

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