Terre rare: il vero oro del futuro tra tecnologia, potere e ambiente

Terre rare: il vero oro del futuro tra tecnologia, potere e ambiente

Quando si parla di transizione ecologica, sovranità tecnologica e indipendenza energetica, c’è un tema che si fa sempre più centrale e, allo stesso tempo, ancora poco conosciuto al grande pubblico: quello delle terre rare. Un nome che evoca qualcosa di prezioso e misterioso, quasi esotico. Ma dietro questa espressione si cela un gruppo di 17 elementi chimici alla base del nostro futuro industriale e strategico. Senza di loro, molte delle tecnologie che oggi diamo per scontate – dalle auto elettriche agli smartphone, dalle turbine eoliche ai missili a guida di precisione – semplicemente non esisterebbero.

Le terre rare, note con l’acronimo REE (Rare Earth Elements o Rare Earth Metals), sono elementi appartenenti alla famiglia dei metalli. Vengono suddivise in base al peso atomico in tre categorie: LREE (terre rare leggere), MREE (medie) e HREE (pesanti). Nonostante il loro nome, non sono affatto così rare dal punto di vista della disponibilità geologica. Il termine “rare” si riferisce piuttosto alla loro difficile individuazione nei minerali e alla complessità dei processi di estrazione e purificazione.

Nello specifico, parliamo di elementi come Scandio, Ittrio e i 15 lantanoidi: Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio. Una lista apparentemente tecnica, ma ognuno di questi nomi rappresenta un pezzo essenziale della filiera tecnologica globale.

La storia della scoperta delle terre rare è affascinante e comincia nel 1787 con un tenente svedese, Carl Axel Arrhenius, che identifica un minerale contenente una miscela ancora ignota. Da lì, per tutto il XIX secolo, si susseguono le scoperte di nuovi elementi da parte di chimici e mineralisti nordici. Il Cerio viene isolato nel 1803, il Lantanio nel 1839. Addirittura il Promezio viene sintetizzato artificialmente solo nel 1947, durante le ricerche sull’energia nucleare. È una vera e propria saga della chimica europea, rimasta in secondo piano nella narrazione tecnologica ma oggi più attuale che mai.

Per capire quanto siano cruciali, basta osservare dove vengono impiegate le terre rare. Nel settore automotive, in particolare quello elettrico e ibrido, sono fondamentali per costruire magneti permanenti nei motori e nelle batterie ricaricabili. Servono per i display LCD, per i laser medicali, per le applicazioni aerospaziali e militari, per i sistemi radar e persino per la raffinazione del petrolio greggio. Ogni componente hi-tech, dalla fibra ottica fino agli aeroplani da combattimento, richiede l’uso di uno o più di questi metalli. Ecco perché sono diventati una materia prima più strategica del petrolio.

Dal punto di vista geopolitico, il dominio su queste risorse è già oggi una delle chiavi del potere mondiale. Attualmente, la Cina è il principale produttore ed esportatore globale di terre rare, con oltre il 37% delle riserve conosciute e una produzione che nel 2019 superava le 130.000 tonnellate l’anno. Seguono, a grande distanza, Stati Uniti, Australia e Myanmar. Ma i numeri ufficiali sono spesso parziali: in Cina, infatti, esistono migliaia di miniere illegali, gestite da reti informali o criminali. Non esiste un vero mercato regolamentato per queste risorse. Gli scambi avvengono in modo privato, con prezzi fluttuanti stabiliti di volta in volta tra raffinatori e aziende acquirenti, spesso cinesi, americane o giapponesi.

Questa opacità crea forti squilibri. Il controllo cinese ha già dato luogo a tensioni internazionali, in particolare con gli Stati Uniti, che stanno tentando di ricostruire una catena di approvvigionamento interna per svincolarsi dalla dipendenza asiatica. In questo contesto si inserisce la partita che si sta giocando in Groenlandia, uno dei territori con il più alto potenziale minerario di terre rare al mondo. Qui la battaglia non è solo tra superpotenze, ma anche tra visioni del mondo: la popolazione locale, rappresentata dal partito ambientalista Inuit Ataqatigiit, ha finora bloccato ogni progetto di estrazione, giudicato troppo invasivo e nocivo per l’ambiente e la salute dei cittadini.

Nel frattempo, alcuni Paesi iniziano a ragionare in termini più lungimiranti. La vera sfida del futuro, infatti, non sarà solo estrarre, ma recuperare e riciclare le terre rare dai prodotti esistenti. Una strategia circolare, che mira a ridurre l’impatto ambientale e a garantire una maggiore resilienza economica. Alcuni governi, come quello cinese, stanno già investendo in poli industriali avanzati per gestire ogni fase: dalla ricerca scientifica alla produzione sostenibile.

In sintesi, le terre rare non sono soltanto un tema tecnico o di nicchia: sono il cuore pulsante dell’economia digitale e verde che stiamo costruendo. Se oggi si parla tanto di autonomia strategica europea, di green deal, di intelligenza artificiale, difesa e transizione energetica, è perché tutti questi ambiti dipendono, nel profondo, da questi 17 elementi chimici tanto invisibili quanto decisivi. Chi li controlla, controlla l’innovazione.

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