"Siate affamati, siate folli." - Steve Jobs

Siate affamati, siate folli. - Steve Jobs

Bastano quattro parole per racchiudere una visione, un’esortazione, quasi un manifesto per chiunque voglia vivere con intensità e lasciare un segno. La copertina della settimana propone questa frase celebre di Steve Jobs, pronunciata nel 2005 durante il suo memorabile discorso ai laureati della Stanford University. Non è solo un tributo a una delle menti più creative e controverse del nostro tempo, ma un invito ancora attualissimo, che attraversa i decenni e ci interroga sul nostro modo di essere nel mondo.

Quando Jobs disse quelle parole — “Stay hungry, stay foolish” — non lo fece da imprenditore di successo intento a vantare i suoi traguardi, ma da uomo che aveva affrontato fallimenti, malattia e dubbi. Era il fondatore di Apple, certo, ma anche colui che era stato cacciato dall’azienda che aveva creato, che aveva vissuto sulla propria pelle le battaglie più intime e le sfide più dure. E proprio in quella nudità esistenziale, nel suo raccontarsi agli studenti senza retorica, la frase prese vita, accendendosi di un’energia che ancora oggi arriva fino a noi.

Essere “affamati” significa non accontentarsi mai, coltivare il desiderio di imparare, crescere, migliorarsi. È quella spinta interiore che non si placa con i successi raggiunti, ma che continua a cercare, a esplorare, a mettere in discussione le certezze. Essere affamati è vivere con lo sguardo aperto sul nuovo, con la voglia di scoprire ciò che ancora non si conosce, senza il timore di apparire ingenui o inesperti.

Essere “folli”, invece, è la capacità di rompere gli schemi, di non piegarsi ai modelli precostituiti. È il coraggio di seguire una propria visione, anche quando gli altri non la comprendono. La “follia” evocata da Jobs non è quella della sconsideratezza, ma piuttosto la forza di osare, di rischiare, di spingersi oltre l’ordinario. È il motore dell’innovazione, della creatività, dell’arte, della scienza.

Questa frase, riproposta oggi in copertina, risuona in un momento storico in cui forse più che mai abbiamo bisogno di ritrovare spirito critico, passione, visione. In un mondo dominato dalla velocità, dal conformismo dei social, dal consumismo esasperato, il rischio è quello di vivere appiattiti su binari preconfezionati, rinunciando a quell’irrequietezza che alimenta ogni autentico percorso umano e professionale.

Essere “affamati” e “folli” oggi significa anche sapersi sottrarre alla dittatura dell’algoritmo, non lasciarsi ridurre a meri consumatori di contenuti, ma tornare ad essere creatori, pensatori, cercatori. Vuol dire accettare il fallimento come parte integrante della crescita, imparare ad ascoltare la propria voce interiore più che quella del consenso di massa.

C’è poi un altro aspetto che merita riflessione. Steve Jobs, pur essendo icona di un colosso tecnologico, ci invita con quella frase a un ritorno all’umanità dell’esperienza: essere affamati e folli non è qualcosa che un’intelligenza artificiale può simulare, perché è la cifra più profonda della nostra condizione umana. È l’imperfezione, il desiderio, l’errore, la spinta viscerale che ci porta a esplorare ciò che ancora non esiste, a immaginare mondi nuovi.

In un’epoca in cui l’AI sembra destinata a ridefinire il concetto stesso di lavoro e di creatività, riaffermare la centralità di questo spirito umano è fondamentale. Non si tratta di opporsi al progresso tecnologico, ma di orientarlo secondo i nostri valori più autentici. E proprio qui, l’invito a essere affamati e folli ci ricorda che l’innovazione non nasce mai dalla replica sterile, ma dal sogno e dalla passione.

Guardando quella copertina, quindi, siamo chiamati a interrogarci: quando è stata l’ultima volta che abbiamo osato? Che ci siamo messi in gioco al di là della zona di comfort? Che abbiamo ascoltato quell’irrequietezza interiore capace di guidarci verso nuove strade?

Nel quotidiano, essere affamati e folli può significare molte cose: scegliere di imparare qualcosa di nuovo, dedicarsi con passione a un progetto, avere il coraggio di cambiare percorso, di dire no a compromessi che non ci rispecchiano. Non serve fondare un impero tecnologico per vivere secondo quella filosofia: basta la coerenza con se stessi, la voglia di vivere con pienezza e autenticità.

Il successo di quella frase, diventata nel tempo quasi un motto universale, è proprio nella sua forza evocativa e inclusiva: parla a ogni età, a ogni professione, a ogni contesto. Non importa se si è studenti, imprenditori, artisti o lavoratori in cerca di nuove sfide. Ci riguarda tutti. E oggi più che mai, in un mondo segnato da crisi economiche, cambiamenti climatici, transizioni tecnologiche, quell’invito a restare affamati e folli suona come un’esortazione necessaria.

In conclusione, la copertina di questa settimana non è solo un omaggio a Steve Jobs, ma uno specchio in cui ciascuno di noi può riconoscersi, per riscoprire quel fuoco interiore che ci rende vivi. Che sia uno stimolo, dunque, a non smettere mai di cercare, immaginare, osare. Perché la vera follia, oggi, sarebbe quella di rinunciare ai nostri sogni.

 

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