Il trucco del contenuto ridotto al prezzo di sempre
Avete presente quando acquistate la solita confezione di biscotti o il vostro shampoo preferito, e vi sembra tutto come sempre… salvo poi accorgervi che qualcosa non torna? Manca qualcosa, letteralmente. È il fenomeno della shrinkflation: stesso packaging, quantità ridotta, prezzo invariato o addirittura maggiorato.
Un fenomeno che si è diffuso silenziosamente nella grande distribuzione, a danno della trasparenza e della fiducia dei consumatori. In tempi di inflazione crescente, molte aziende hanno scelto di non aumentare i prezzi in modo diretto, ma di ridurre il contenuto delle confezioni per mantenere stabili (almeno in apparenza) i listini. Una strategia legale, certo, se il peso indicato è corretto. Ma quanto è corretta eticamente?
L’Italia interviene, ma Bruxelles non ci sta
Nel tentativo di contrastare questa pratica e garantire maggiore chiarezza, il governo italiano ha introdotto un obbligo: indicare in etichetta se un prodotto è stato ridotto nella quantità, pur mantenendo la confezione identica. Una misura accolta con favore dalle associazioni dei consumatori, che da anni denunciano il problema.
Tuttavia, la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia. La motivazione? L’etichetta obbligatoria sarebbe un ostacolo alla libera circolazione delle merci, in violazione degli articoli 34-36 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Secondo Bruxelles, l’Italia avrebbe imposto una misura nazionale e sproporzionata senza fornire prove sufficienti sulla sua necessità e senza attendere il parere finale della Commissione.
Libertà del mercato o diritto a essere informati?
Qui si apre un conflitto di visione: da un lato l’Unione Europea che difende il principio della libera concorrenza e teme che ogni Stato adotti regole autonome, mettendo in crisi l’uniformità del mercato interno. Dall’altro lato, l’Italia che, nel ruolo di legislatore nazionale, cerca di proteggere il consumatore da una pratica percepita come ingannevole.
La Commissione suggerisce soluzioni alternative meno restrittive, come la segnalazione informativa a scaffale, accanto ai prodotti. Ma per molti questa soluzione risulta poco efficace: il consumatore distratto o di fretta difficilmente nota una dicitura generica tra mille offerte promozionali.
Consumatori divisi, ma il dibattito è aperto
Il Codacons ritiene che il provvedimento italiano arrivi tardi: “Ormai – dicono – la shrinkflation ha già colpito. Bisognava intervenire prima.” Più netta la posizione dell’Unione Nazionale Consumatori: il presidente Massimiliano Dona invita il governo italiano a non arretrare. «Bisogna portare la battaglia in Europa e chiedere regole comuni: la trasparenza non può fermarsi davanti ai confini del mercato unico».
Prossime mosse e una questione politica
Ora l’Italia ha due mesi per rispondere alla Commissione. Se non lo farà o se le giustificazioni non saranno considerate valide, Bruxelles potrebbe passare al livello successivo: un parere motivato e, in ultima istanza, il deferimento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Il nodo è delicato: quanto può spingersi uno Stato membro nella tutela dei suoi cittadini prima di infrangere le regole comuni? E fino a che punto l’Europa è disposta ad armonizzare le esigenze del mercato con quelle della trasparenza?
La shrinkflation, insomma, è molto più di una riduzione del contenuto in una confezione: è il sintomo di uno scontro tra due modelli di tutela. E la posta in gioco è la fiducia – dei cittadini, dei consumatori, degli europei.