Quando la banca concede un prestito, il denaro prende forma dal nulla e diventa reale.

Quando la banca concede un prestito, il denaro prende forma dal nulla e diventa reale.

Il denaro è uno degli oggetti più enigmatici del nostro tempo. Ci accompagna in ogni scelta economica, politica, sociale; ne parliamo ogni giorno, lo desideriamo, lo temiamo, lo regoliamo. Eppure, pochissimi sanno davvero come nasce. Molti continuano a ripetere che le banche “creano denaro dal nulla”, ma la realtà è molto più sottile e affascinante. Il denaro non viene creato magicamente, ma attraverso un processo contabile e giuridico che coinvolge fede, fiducia, debito e rischio. Comprendere come le banche commerciali creano moneta è un passo fondamentale per avere consapevolezza del nostro sistema economico e dei suoi poteri effettivi.

Cominciamo dal cuore dell'equivoco. L’idea che le banche “stampino denaro” come se avessero una tipografia magica nel caveau è sbagliata. A “stampare” moneta, nel senso letterale del termine, è la Banca Centrale, che emette la moneta legale: banconote e monete che costituiscono una piccola frazione della massa monetaria in circolazione. Il vero denaro che muove l’economia è invece la moneta bancaria, cioè quella che le banche commerciali creano concedendo prestiti.

Sì, hai letto bene. Le banche creano moneta quando fanno credito. Non prestano semplicemente il denaro che altri hanno depositato, come si pensava nell’antico modello del sistema a riserva frazionaria. Il meccanismo è ben più raffinato. Quando una banca concede un prestito, accredita l’importo sul conto del cliente, creando così un nuovo deposito. Quel deposito non è denaro che esisteva prima: è stato creato nel momento stesso del prestito. Un semplice movimento contabile ha generato nuovo denaro utilizzabile.

Nel bilancio della banca, ciò che accade è duplice: da un lato si crea un attivo (il credito concesso al cliente), dall’altro una passività (il deposito a favore del cliente). Il bilancio resta in equilibrio, ma nel mondo reale è appena comparso nuovo potere d’acquisto. Quello che prima non esisteva ora può essere speso, investito, trasferito, reinserito nel circuito bancario.

Questo meccanismo non è una truffa, ma è alla base del sistema bancario moderno. Eppure, proprio perché è invisibile ai più, ha suscitato per decenni sospetti, confusioni e teorie complottistiche. L’idea che “i soldi non esistano” fino a che non vengono “scritti” su un conto genera sconcerto, ma è la verità del denaro come convenzione sociale. Non è l’oro a garantire il valore della moneta, né una riserva fisica: è la fiducia collettiva nel fatto che quel numero sul tuo conto rappresenta qualcosa di reale, che altri accetteranno in cambio di beni e servizi.

La fiducia, quindi, è il vero collaterale invisibile del sistema monetario. Le banche, per creare moneta, non devono ricorrere ai depositi esistenti, ma devono rispettare criteri di solidità patrimoniale e regole prudenziali (come quelle stabilite da Basilea) che limitano l’entità del credito in rapporto ai capitali e ai rischi. Il denaro non nasce dal nulla, ma da un atto di credito che è insieme un calcolo di rischio e una previsione di restituzione futura.

E quando il prestito viene restituito? La moneta che era stata creata viene cancellata. Il bilancio si riduce: il credito si estingue, il deposito si annulla. È come se quel denaro non fosse mai esistito. Non è un oggetto che circola indefinitamente, ma una relazione temporanea tra banca e cliente, un patto fiduciario con una scadenza.

Questo processo produce un effetto noto come moltiplicatore del credito. Il cliente che riceve un prestito può spenderlo, e il denaro speso finirà su altri conti correnti, magari presso altre banche, che a loro volta potranno concedere nuovi prestiti. Ogni ciclo di spesa-deposito-prestito genera nuova moneta bancaria, ampliando la massa monetaria in funzione della domanda di credito e delle politiche di vigilanza. Non esiste un limite fisico, ma solo limiti normativi e prudenziali.

L’intero sistema è quindi basato su un delicato equilibrio tra creazione e distruzione di moneta bancaria, capacità di restituzione, gestione del rischio e fiducia sistemica. Se le banche smettono di prestare, la massa monetaria si contrae, e l’economia entra in crisi. Se prestano troppo facilmente, si genera inflazione o instabilità finanziaria. La politica monetaria della Banca Centrale, attraverso strumenti come il tasso d’interesse o il quantitative easing, cerca di guidare questi processi influenzando l'appetito al rischio e la liquidità disponibile.

C’è però un aspetto filosofico che raramente viene discusso: il fatto che il denaro bancario sia creato a partire da una promessa futura. È un atto di fiducia nel tempo, un investimento nella capacità del debitore di generare valore e rimborsare. In questo senso, ogni euro creato dalle banche è un debito, non un bene. Ed è proprio questa struttura debitoria a rendere il sistema fragile nei momenti di recessione: se troppi prestiti non vengono rimborsati, il sistema entra in stress, la fiducia vacilla e il credito si blocca. È come se il tempo economico si congelasse.

C’è una bellezza ambigua in tutto questo. La moneta non è una cosa, ma un rapporto. Non è una materia, ma un simbolo fiduciario. La sua esistenza dipende da una rete di relazioni sociali e istituzionali, da regole condivise, da architetture giuridiche, da una narrazione collettiva. Il denaro bancario è una scrittura contabile che si fa potere d’acquisto. E questa scrittura ha valore solo se il sistema che la sostiene è credibile.

Per questo motivo, il denaro bancario ha bisogno di un quadro normativo forte e trasparente. Le crisi finanziarie del passato hanno mostrato come un uso spregiudicato del potere di creare credito possa portare al collasso: pensiamo alla crisi dei subprime, in cui prestiti concessi con leggerezza hanno generato una bolla insostenibile. Quando il credito si sgancia dalla valutazione reale dei rischi, diventa finzione tossica.

E allora ritorna il dubbio: quanto è “reale” questo denaro? È reale in quanto funziona, viene accettato, scambiato, tassato. Ma è anche astratto, perché non esiste al di fuori del sistema contabile. È un simulacro di ricchezza, che si regge su regole, aspettative e, soprattutto, sulla fiducia collettiva.

Nel dibattito pubblico, tuttavia, questo meccanismo è ancora poco noto. Molti credono che i soldi prestati vengano “presi” dai risparmiatori e “girati” ai debitori. Non è così. Il prestito crea il deposito, non il contrario. I depositi, a loro volta, sono liquidità apparente, perché possono essere ritirati in ogni momento, ma in realtà sono registrazioni elettroniche che funzionano solo perché il sistema è sufficientemente liquido, interconnesso e regolato da una fiducia reciproca tra istituzioni, cittadini e imprese.

Non è un caso che ogni crisi bancaria sia una crisi di fiducia. Quando i risparmiatori perdono fiducia nella banca, corrono a ritirare i depositi, e questo può mettere in crisi anche un istituto perfettamente solvibile, perché le banche non detengono fisicamente il denaro necessario a soddisfare tutti i prelievi simultaneamente. È il paradosso della liquidità: il sistema funziona finché nessuno chiede troppo, troppo in fretta.

Questo paradosso si manifesta anche nel rapporto tra moneta legale (emessa dalla Banca Centrale) e moneta bancaria (creata dalle banche). La prima è una base stabile, la seconda una proiezione dinamica. La Banca Centrale può influenzare la quantità di moneta bancaria solo indirettamente, agendo sui tassi di interesse, sui requisiti patrimoniali e sulla disponibilità di liquidità per le banche commerciali. Non può impedire, direttamente, che una banca crei denaro, se questa rispetta le condizioni previste.

Ci troviamo, quindi, in un sistema in cui il denaro è una creatura giuridica. Non nasce dalla materia, ma dalla scrittura e dal contratto. È un accordo codificato, regolato, istituzionalizzato. E, come ogni costruzione giuridica, può essere riformato, ridefinito, reinterpretato.

Da qui nasce anche l’interesse per le valute digitali, come le CBDC (Central Bank Digital Currencies), che potrebbero ridefinire il rapporto tra cittadino e moneta, offrendo accesso diretto alla moneta della Banca Centrale, senza l’intermediazione bancaria. Sarebbe una rivoluzione copernicana, che sposterebbe parte del potere di creazione monetaria dalle banche commerciali allo Stato. Ma con quali conseguenze per il credito, la privacy, la libertà economica? Il dibattito è appena iniziato.

Nel frattempo, il sistema attuale resta fondato su un paradosso: creiamo denaro attraverso il debito. Più debito, più denaro. Più restituzioni, meno moneta. È un sistema dinamico, che si espande e si contrae secondo la fiducia nel futuro. Ma ogni volta che firmiamo un mutuo, ogni volta che riceviamo un prestito per aprire un’attività, stiamo partecipando alla creazione di moneta, stiamo agendo nel cuore pulsante dell’economia.

Capire questo meccanismo significa capire che il denaro è una finzione condivisa, sì, ma non nel senso che è falso. È finzione nel senso più profondo e potente del termine: è una costruzione simbolica, un’idea operativa, una convenzione sociale sostenuta da leggi, istituzioni, contabilità e fiducia. Ed è proprio questa finzione a permettere il funzionamento dell’economia moderna. Una finzione viva, fragile, complessa. Una finzione che, come tutte le grandi narrazioni collettive, funziona solo se ci crediamo in molti, e allo stesso tempo.

 

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