L’Europa si ritrova oggi a convivere con un fenomeno che ha il sapore amaro di un ritorno al passato, ma con caratteristiche tutte nuove: l’inflazione silenziosa. Un’inflazione che non ha più i tratti esplosivi e palesi dell’aumento improvviso dei prezzi come accadde negli anni Settanta o, più di recente, nel biennio nero post pandemia e guerra in Ucraina, ma che si insinua piano piano, quasi di nascosto, nei bilanci delle famiglie e nel carrello della spesa. A ben vedere, i prezzi non calano più ai livelli pre-Covid, e anzi si stabilizzano su soglie molto più alte, mentre salari e pensioni restano sostanzialmente fermi. Questo squilibrio finisce per erodere lentamente il potere d’acquisto e cambiare le abitudini dei consumatori, modificando non solo il modo di spendere ma anche i progetti di vita di milioni di europei.
La pandemia da Covid-19 ha rappresentato uno shock epocale per le catene globali di approvvigionamento, facendo esplodere i costi di materie prime, trasporti e logistica. Successivamente, il conflitto russo-ucraino ha aggravato la situazione con i rincari energetici. Tutti ricordiamo le bollette schizzate alle stelle e il prezzo dei generi alimentari salito in modo vertiginoso. Oggi, le dinamiche geopolitiche e la stabilizzazione del costo dell’energia hanno ridotto in parte quelle fiammate, ma l’inflazione non è tornata ai livelli pre-crisi. Anzi, ha assunto la forma più subdola e insidiosa: un’inflazione strisciante, che cresce lentamente o rimane su plateau elevati, senza dare segni di ritirata.
Le statistiche europee mostrano come l’indice dei prezzi al consumo (CPI) si sia attestato in media al 6,5% nel 2022, scendendo al 5,2% nel 2023 e stabilizzandosi intorno al 3% nel 2024. Ma quel 3%, in un contesto dove stipendi e pensioni sono bloccati o si adeguano con ritardi di anni, pesa come un macigno. La perdita cumulata di potere d’acquisto è enorme: secondo alcune stime, una famiglia media europea ha perso tra il 10 e il 15% della propria capacità di spesa reale rispetto al 2019. Questa erosione graduale è il tratto distintivo dell’inflazione silenziosa: non è lo shock improvviso a preoccupare, ma il lento stillicidio.
Il fenomeno si accompagna a un altro aspetto: la cosiddetta rigidità verso il basso dei prezzi. In pratica, anche se alcuni fattori di costo si riducono (si pensi al gas tornato sotto i 30 €/MWh rispetto ai picchi di 300 del 2022), i prezzi finali dei beni e servizi non tornano mai indietro del tutto. È il caso emblematico di bar e ristoranti, che hanno adeguato i listini in su citando le bollette e ora non li abbassano più, o del comparto alimentare, dove i rincari sulle filiere agricole hanno “normalizzato” prezzi ben superiori al passato. Questo meccanismo finisce per consolidare un nuovo livello dei prezzi, che diventa strutturale.
Il problema si riflette in modo lampante sulle famiglie, soprattutto quelle a reddito fisso. I pensionati sono tra i più colpiti, perché le rivalutazioni delle pensioni avvengono spesso con algoritmi complessi e ritardi significativi. I lavoratori dipendenti si scontrano con la difficoltà di ottenere adeguamenti contrattuali rapidi: la contrattazione collettiva non tiene il passo con l’inflazione reale. Così, mentre il carrello della spesa resta carico di cifre elevate, le buste paga languono. Molti sono costretti a rivedere radicalmente le proprie priorità: meno vacanze, meno cene fuori, rinvio di spese importanti come l’acquisto di un’auto o la ristrutturazione di casa. Persino la natalità ne risente, perché incertezza e ristrettezze economiche scoraggiano i giovani dal mettere su famiglia.
L’inflazione silenziosa ha poi effetti psicologici che non vanno sottovalutati. Si insinua un senso diffuso di insicurezza: la sensazione che con lo stesso stipendio si compri sempre meno, che non ci siano prospettive di miglioramento. Questo genera sfiducia nei confronti del futuro e delle istituzioni, perché si percepisce un sistema incapace di proteggere il valore reale del lavoro e dei risparmi. È un terreno fertile per tensioni sociali e populismi. Non è un caso che in diversi paesi europei stiano guadagnando terreno movimenti politici che fanno leva sul malcontento legato al carovita.
Le banche centrali, e in particolare la BCE, si trovano in una posizione delicatissima. Dopo anni di politica ultra-espansiva con tassi a zero o negativi, sono state costrette a rialzare bruscamente i tassi d’interesse per contenere la fiammata inflattiva. Questo ha portato un altro effetto collaterale: il costo dei mutui è esploso, comprimendo ulteriormente i bilanci delle famiglie. Ora che l’inflazione “ufficiale” sembra ridimensionata, si pongono dilemmi complessi. Un allentamento dei tassi potrebbe riattivare la domanda e la crescita, ma rischia di far ripartire la spirale dei prezzi. Viceversa, mantenerli elevati aiuta a tenere sotto controllo l’inflazione ma frena consumi e investimenti, alimentando la stagnazione.
Le imprese, dal canto loro, hanno adottato strategie per scaricare gli aumenti sui consumatori, proteggendo i margini. È il cosiddetto pricing power, la capacità di fissare prezzi più alti senza perdere clienti. In molti settori si è consolidata questa strategia, che rende difficile una vera inversione di rotta. Inoltre, i costi salariali – pur non crescendo in modo proporzionato – hanno avuto qualche ritocco, e le aziende cercano di mantenere le nuove soglie di prezzo per non erodere i profitti. Così si crea una sorta di circolo vizioso.
Un altro fattore che alimenta questa inflazione strutturale è la transizione energetica. La corsa verso le rinnovabili, sebbene necessaria e strategica, comporta investimenti enormi e talvolta costi di produzione più alti rispetto ai combustibili fossili tradizionali, almeno nel breve periodo. Questi costi vengono parzialmente ribaltati sui consumatori. Allo stesso modo, le nuove normative ambientali, se non accompagnate da incentivi adeguati, finiscono per tradursi in rincari indiretti.
Nel frattempo, si osserva una forte polarizzazione nei consumi. Chi ha più disponibilità economica riesce a reggere l’urto e mantiene uno stile di vita invariato. Ma per la fascia media e bassa diventa inevitabile ridurre la qualità o la quantità di ciò che si compra. Si afferma la logica del “comprare meno e meglio”, oppure del rinunciare tout court. Alcuni segmenti della distribuzione, come i discount, vivono una stagione d’oro, mentre i negozi di fascia media soffrono un calo strutturale.
Eppure ci sono anche effetti meno immediatamente visibili ma di lungo periodo. Il rallentamento dei consumi si riflette sulle imprese che vedono contrarsi la domanda. Questo può tradursi in minori investimenti, minore occupazione e quindi alimentare ulteriormente la stagnazione. La combinazione di inflazione moderata ma persistente e crescita anemica è lo scenario che gli economisti temono di più: la temuta stagflazione, difficile da combattere con le leve tradizionali della politica economica.
Sul piano sociale, il ritorno dell’inflazione silenziosa genera nuove disuguaglianze. Chi possiede patrimoni immobiliari o finanziari indicizzati riesce a difendersi meglio, mentre chi vive di solo stipendio o pensione subisce l’erosione senza scampo. Si crea una società divisa, non tanto tra ricchi e poveri in senso assoluto, quanto tra chi ha strumenti per proteggersi dall’inflazione e chi ne è vittima designata. Questa frattura rischia di minare la coesione sociale e la fiducia reciproca, valori fondamentali per il tessuto europeo.
Guardando avanti, le prospettive restano incerte. Alcuni analisti prevedono una graduale normalizzazione, ma molti segnali indicano che i prezzi difficilmente torneranno ai livelli del 2019. I cambiamenti nelle catene globali, le tensioni geopolitiche e le nuove esigenze di sicurezza energetica e alimentare hanno riscritto le regole del gioco. Il rischio è che le famiglie europee debbano abituarsi a un nuovo paradigma: meno potere d’acquisto, più oculatezza nelle spese, meno slancio per progetti ambiziosi. Si tratta di un adattamento doloroso, che richiederà politiche pubbliche più attente alla distribuzione del reddito e alla tutela delle fasce vulnerabili.
Nel frattempo, il consiglio per chi vive questa fase è di pianificare con attenzione, ridurre debiti onerosi, investire in formazione per accrescere la propria capacità di reddito, e guardare con realismo ma senza fatalismo al futuro. Perché se è vero che l’inflazione silenziosa non grida, è anche vero che lascia un segno profondo e duraturo nelle vite delle persone. E comprenderla è il primo passo per tentare di difendersi.