Il debito italiano supera 2.900 miliardi: quanto incide sulla vita quotidiana

Il debito italiano supera 2.900 miliardi: quanto incide sulla vita quotidiana

Il debito pubblico italiano sopra i 2900 miliardi: dobbiamo preoccuparci? Un approfondimento semplice ma non superficiale su come questo ci riguarda nella vita quotidiana

Il debito pubblico italiano ha recentemente superato la soglia dei 2900 miliardi di euro, un numero che fa impressione anche solo a leggerlo. Ma che cosa significa davvero per noi cittadini questo gigantesco fardello? Si tratta soltanto di una questione per economisti, ministri e banchieri centrali oppure ci tocca più da vicino di quanto immaginiamo? Proviamo a capirlo insieme, senza troppi tecnicismi, ma neppure banalizzando, perché dietro a questi numeri si celano pezzi importanti delle nostre vite quotidiane, dalle tasse che paghiamo ai servizi pubblici di cui usufruiamo, fino al valore dei nostri risparmi.

Iniziamo col dire che il debito pubblico è l’insieme dei soldi che lo Stato italiano deve a chi ha acquistato i suoi titoli, cioè i BOT, BTP, CCT, ecc. Questi titoli vengono emessi per finanziare la differenza tra quanto lo Stato spende e quanto incassa attraverso le imposte. Quando le entrate non bastano a coprire tutte le spese, lo Stato si indebita. Non è qualcosa di straordinario: tutti gli Stati moderni fanno ricorso al debito. Anzi, in certi casi il debito può addirittura favorire la crescita, perché consente di finanziare infrastrutture, servizi, investimenti che aumentano la ricchezza del Paese. Ma quando il debito cresce troppo, diventa un peso che rischia di compromettere la stabilità economica.

Oggi il debito dell’Italia è pari a circa il 140% del PIL, ossia il prodotto interno lordo, che rappresenta il valore di tutti i beni e servizi prodotti nel nostro Paese in un anno. Per ogni 100 euro di ricchezza prodotta, lo Stato ha un debito di 140 euro. Questo rapporto è uno degli indicatori più usati per misurare la sostenibilità del debito di un Paese. Più il rapporto debito/PIL è alto, più aumenta la percezione del rischio da parte dei mercati, e quindi più lo Stato deve offrire interessi alti per farsi prestare denaro.

E qui entra in gioco un primo effetto concreto sulla nostra vita quotidiana: gli interessi sul debito pubblico. Solo per pagare gli interessi, l’Italia spende ormai oltre 80 miliardi di euro l’anno, quasi quanto l’intero bilancio dell’istruzione o della sanità. Soldi che quindi non possono essere utilizzati per migliorare scuole, ospedali, trasporti o ridurre le tasse. Il debito pubblico assorbe una quota rilevante delle risorse che ogni anno lo Stato raccoglie dalle nostre tasse.

Ma non finisce qui. Un debito elevato espone lo Stato al rischio di improvvise crisi di fiducia sui mercati finanziari. Se gli investitori iniziano a temere che l’Italia non sia in grado di ripagare i propri debiti, chiedono tassi di interesse ancora più alti per comprare i nostri titoli, oppure smettono del tutto di acquistarli, mettendo sotto stress le casse pubbliche. È quello che successe nel 2011, quando lo spread salì alle stelle. E se i tassi sui titoli di Stato salgono, aumenta anche il costo dei mutui e dei prestiti bancari. Questo perché le banche calcolano gli interessi sui prestiti prendendo come riferimento il rendimento dei titoli di Stato, considerati il parametro di rischio “base”. Di conseguenza, un debito alto si traduce in prestiti e mutui più costosi per famiglie e imprese.

Un altro punto da tenere presente è che il debito di oggi ricade sulle generazioni future. Gli interessi e la restituzione del capitale verranno pagati non solo con le tasse di oggi, ma anche con quelle di domani. In altre parole, stiamo trasferendo una parte del nostro benessere sulle spalle dei nostri figli e nipoti. Naturalmente, non si tratta di un problema automatico. Se lo Stato utilizza bene i soldi presi a prestito, per fare investimenti che aumentano la produttività e il PIL futuro, allora anche i nostri figli avranno un’economia più forte e potranno sostenere quel debito senza troppe difficoltà. Ma se i soldi vengono spesi male o se finiscono a finanziare spese correnti improduttive, il debito diventa solo un’eredità pesante.

Spesso si sente dire che il debito pubblico non è un problema, perché in fondo lo Stato può sempre rifinanziarsi. È vero che un Paese che ha la propria moneta (come l’Italia nell’epoca della lira) può stampare denaro e ripagare il debito. Ma oggi siamo nell’euro e questo non è più possibile in modo autonomo. Siamo legati alla Banca Centrale Europea, che ha il compito di mantenere la stabilità dei prezzi, non di stampare moneta per ripagare i debiti dei singoli Stati. Certo, negli ultimi anni la BCE ha comprato moltissimi titoli italiani attraverso il quantitative easing, abbassando i tassi e aiutando indirettamente i conti pubblici. Ma queste politiche non sono infinite e soprattutto non sono un diritto automatico. Inoltre, stampare troppa moneta significa alimentare l’inflazione, che riduce il potere d’acquisto dei nostri stipendi e risparmi.

Ecco allora un altro modo in cui il debito ci tocca da vicino: se la fiducia nella stabilità del nostro Paese si incrinasse, potremmo vedere un aumento dell’inflazione o delle tasse. Lo Stato per far fronte ai propri impegni potrebbe decidere di aumentare l’IVA o altre imposte, o magari tagliare servizi essenziali. In uno scenario estremo, potrebbe addirittura decidere di intervenire sui nostri risparmi. È successo a Cipro nel 2013, con un prelievo forzoso sui conti correnti, o in Italia nel 1992 con il famoso prelievo notturno sui conti bancari. Sono ipotesi remote, ma mostrano come un debito eccessivo riduca i margini di libertà di uno Stato.

Questo però non significa che dobbiamo vivere nella paura. Significa piuttosto che serve una gestione attenta, responsabile e lungimirante del bilancio pubblico. Il debito non è di per sé un male assoluto: diventa un problema solo se non si accompagna a crescita economica e a una gestione sana delle finanze. Se il PIL cresce più velocemente del debito, il rapporto debito/PIL si riduce e il peso del debito diventa più sostenibile. È quello che è avvenuto in Italia negli anni del boom economico: pur avendo un debito che cresceva, il PIL aumentava ancora di più, alleggerendo il rapporto. Il guaio è che negli ultimi vent’anni l’Italia è cresciuta molto meno degli altri grandi Paesi europei, e questo ha fatto sì che il peso del debito aumentasse.

Che cosa possiamo fare quindi, concretamente? A livello individuale, possiamo poco per ridurre il debito pubblico. Ma possiamo capire meglio come funziona, chiedere trasparenza e responsabilità alla politica, premiare con il nostro voto chi propone programmi credibili, e soprattutto occuparci della nostra educazione finanziaria, perché un popolo più consapevole è anche un popolo meno manipolabile. Possiamo imparare a capire come funzionano le dinamiche di bilancio, il significato delle voci di spesa e la differenza tra debito buono (quello per investimenti produttivi) e debito cattivo (quello per coprire sprechi e privilegi).

Intanto, possiamo anche proteggere meglio i nostri risparmi. Sapendo che un Paese molto indebitato è più fragile di fronte a crisi improvvise, conviene diversificare i nostri investimenti, non tenere tutto in titoli di Stato, magari guardare a fondi o polizze ben regolamentate, e costruire una piccola “rete di sicurezza” che ci metta al riparo da eventuali turbolenze.

Insomma, il debito pubblico italiano sopra i 2900 miliardi è un tema che riguarda tutti noi. Non dobbiamo farcene ossessionare, ma nemmeno ignorarlo. Perché prima o poi, in un modo o nell’altro, presenta sempre il conto: sotto forma di tasse più alte, servizi peggiori, mutui più costosi, o minore libertà nelle scelte politiche del Paese. Capire come funziona il debito, come si genera e come si può ridurre, significa anche imparare a proteggere il nostro futuro e quello delle prossime generazioni. Non è questione solo di economia: è questione di responsabilità collettiva, di cittadinanza attiva e di visione sul tipo di Paese che vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi.

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