Criptovalute e banche: una sfida al potere finanziario tradizionale

Criptovalute e banche: una sfida al potere finanziario tradizionale

Nel 2024, l’Italia ha toccato un nuovo record storico: oltre 2,7 miliardi di euro investiti in criptovalute da parte di cittadini italiani. Un dato che ha spinto la Banca d’Italia a lanciare un forte allarme sul fenomeno, soprattutto per quanto riguarda le cosiddette criptovalute “non garantite”, come Bitcoin ed Ethereum, che sfuggono completamente al controllo delle autorità centrali.

Per comprendere il motivo della diffidenza bancaria, bisogna guardare oltre i luoghi comuni. Non è solo questione di volatilità o rischio truffe (pur reali). Il nodo vero è sistemico: le criptovalute mettono in discussione il ruolo stesso delle banche, che per secoli hanno avuto il monopolio – diretto o indiretto – su emissione, intermediazione e custodia del denaro.

Queste nuove valute digitali non sono emesse da alcuna banca centrale, non generano interessi né dividendi, e soprattutto non hanno un valore garantito da asset sottostanti. Sono create da procedure informatiche, distribuite su reti decentralizzate, e funzionano fuori dai canali regolamentati. È questa l’essenza che spaventa: una moneta che esiste senza Stato, senza banca e senza garante.

Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha ribadito più volte i pericoli: le criptovalute non garantite, ha detto, sono strumenti ad alto rischio speculativo, che possono essere utilizzati per evasione fiscale, riciclaggio di denaro e finanziamento al terrorismo. Inoltre – sottolinea Panetta – non svolgono le tre funzioni fondamentali della moneta: non sono un affidabile mezzo di pagamento, né una stabile riserva di valore, né una chiara unità di conto.

I dati dell’OAM (Organismo Agenti e Mediatori) sono impressionanti. Solo nel primo trimestre del 2024, ben 1,8 milioni di italiani hanno inviato i propri dati identificativi per operare con criptovalute. Di questi, il 75% possiede attivamente valute digitali. Le operazioni sono massicce: oltre 3,3 milioni di conversioni da euro a crypto e quasi 3 milioni di operazioni inverse, da crypto a valuta legale. L’importo medio? Circa 309 euro per ogni acquisto e 928 euro per ogni dismissione.

Il profilo dell’investitore-tipo è giovane: il 36% ha tra 18 e 29 anni, il 28% tra 30 e 39 anni. Le attività si concentrano soprattutto nel Nord Italia (49%) e all’estero (31%), segno di una maggiore apertura economica e tecnologica. Il mercato, inoltre, è dominato da pochi grandi player, che gestiscono oltre l’82% delle conversioni da crypto a euro, per un controvalore superiore ai 2,2 miliardi di euro.

Insomma, il quadro è chiaro: un numero crescente di italiani si sta spostando verso strumenti finanziari alternativi, mentre le banche guardano con preoccupazione una fetta sempre più consistente di economia che sfugge alle loro logiche.

Tuttavia, l’Europa ha cominciato a reagire. Con l’introduzione del MiCAR (Market in Crypto Asset Regulation), l’Unione Europea punta a portare ordine in un ecosistema finora poco regolamentato. Il regolamento distingue tra:

  • EMT (electronic money tokens): legati a una singola valuta ufficiale;
  • ART (asset-referenced tokens): collegati a un paniere di attività;
  • Criptoattività non garantite e utility tokens: ancora poco regolamentati, soggetti solo a obblighi di notifica preventiva.

A vigilare, in Italia, saranno Banca d’Italia e Consob, ma l’efficacia di questa regolazione dipenderà – come riconosce lo stesso Panetta – dalla capacità di stare al passo con un fenomeno in continua evoluzione.

In definitiva, dietro la diffidenza delle banche si nasconde molto più di una semplice preoccupazione per la sicurezza degli investitori. Le criptovalute minacciano l’architettura stessa del sistema finanziario tradizionale, basato su centralizzazione, fiducia nell’intermediario, e controllo normativo. Non sorprende, quindi, che le banche non vedano di buon occhio un’alternativa che ridistribuisce il potere finanziario, mette in discussione i vecchi equilibri, e offre a milioni di persone la possibilità di gestire autonomamente il proprio denaro.

La sfida è appena cominciata. E non si gioca solo sul piano tecnologico o normativo. È, prima di tutto, una questione di potere.

 

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