Bitcoin: PAC da 100$ al mese a un tesoro da 450 milioni di $

Bitcoin: PAC da 100$ al mese a un tesoro da 450 milioni di $

Quando si parla di Bitcoin, la mente corre subito ai grandi rally di prezzo, ai record storici che hanno catturato le prime pagine dei giornali economici, ma anche ai crolli vertiginosi che hanno fatto tremare i polsi a migliaia di investitori. Questa criptovaluta, nata nel 2009 come risposta critico-utopica al sistema finanziario tradizionale, è diventata in pochi anni uno degli asset più chiacchierati, controversi e studiati di sempre. Eppure, dietro le urla dei titoli sensazionalistici e le analisi frettolose, si nasconde una storia che insegna molto più di quanto non dicano le semplici oscillazioni di prezzo. Una storia che, se guardata con la lente del lungo termine e con l’approccio disciplinato del Piano di Accumulo del Capitale, rivela una forza straordinaria, capace non solo di generare ricchezza inimmaginabile, ma di farlo con una serenità sorprendente, persino in mezzo a tempeste di volatilità.

Immagina di trovarci nell’agosto del 2010. In quei giorni, Bitcoin valeva circa 0,10 dollari. Nessuno — neppure i più fervidi sostenitori delle criptovalute — poteva realisticamente immaginare che un giorno quel piccolo esperimento peer-to-peer avrebbe toccato, anche solo per un attimo, valori superiori ai 60.000 dollari per unità. Ma ora spostiamo lo sguardo dal trader che cerca il colpo grosso e concentriamoci invece su un investitore paziente, prudente ma curioso, che decide di adottare una semplice strategia: acquistare 100 dollari di Bitcoin ogni mese, regolarmente, indipendentemente dal prezzo. Si tratta di un classico PAC, un piano di accumulo, applicato però a un asset decisamente fuori dagli schemi tradizionali.

Passano i mesi, e il nostro investitore continua imperterrito. Compra quando Bitcoin vale pochi centesimi, compra quando raggiunge un dollaro, compra quando tocca quota dieci. Poi, quando il prezzo sale vertiginosamente a oltre 1.000 dollari nel 2013, lui continua a comprare i suoi soliti 100 dollari mensili, senza farsi travolgere dall’euforia. Quando, poco dopo, il prezzo crolla dell’80% tornando sotto i 200 dollari, continua a comprare. E ancora compra quando il Bitcoin torna a crescere, supera i 10.000, crolla del 50%, risale, ricrolla, in un’altalena che nel tempo si è ripetuta più e più volte.

La forza di questa disciplina emerge in modo spettacolare se facciamo i conti quindici anni dopo, a luglio del 2025. A questo punto, il nostro investitore ha versato complessivamente 18.000 dollari, sempre in tranche mensili da 100 dollari. Una cifra significativa, ma non certo astronomica per un orizzonte temporale così lungo. E il risultato? Il suo piano di accumulo vale oggi oltre 450 milioni di dollari. Una cifra che fa tremare i polsi più dei peggiori crolli di Bitcoin. Una cifra che fa sorridere amaramente chi, invece di seguire un metodo costante, ha provato a entrare e uscire dai mercati spinto dall’emozione, dal panico o dall’avidità, spesso sbagliando clamorosamente i tempi.

A questo punto molti potrebbero dire: “Sì, ma Bitcoin è un caso eccezionale, forse irripetibile”. E in parte hanno ragione. Un rendimento così estremo difficilmente potrà verificarsi di nuovo in quelle proporzioni. Ma il punto centrale di questa vicenda non è tanto la performance stellare in sé, quanto ciò che l’ha resa possibile: la costanza, la pazienza e la scelta di ignorare la tentazione di cronometrare il mercato. Il nostro investitore non si è mai chiesto “È il momento giusto per entrare o devo aspettare che scenda ancora?”. Ha semplicemente comprato ogni mese, affidandosi a un metodo. E questo metodo ha trasformato la volatilità da nemica in preziosa alleata.

Per comprendere quanto sia potente questo meccanismo, dobbiamo ricordare che Bitcoin è probabilmente l’asset più volatile mai apparso sulla scena dei mercati finanziari globali. In diversi momenti ha perso l’80%, in altri il 50%, spesso in pochi mesi o addirittura settimane. Qualsiasi investitore che avesse puntato grosse somme in un’unica soluzione, proprio prima di uno di questi crolli, avrebbe vissuto periodi drammatici, con minusvalenze temporanee capaci di mettere in crisi anche le convinzioni più salde. Il Piano di Accumulo del Capitale, invece, trasforma queste montagne russe in un’opportunità: comprando più quote quando i prezzi sono bassi e meno quando sono alti, il prezzo medio di carico si abbassa e l’esposizione diventa molto più efficiente.

C’è un altro elemento straordinario in questa storia: durante questi quindici anni di accumulo costante, il capitale versato non ha mai registrato una perdita in conto capitale. Questo sembra quasi impossibile, se pensiamo a quante volte il prezzo di Bitcoin sia sceso del 50-80%. Ma la matematica del costo medio fa miracoli. Anche dopo i cali più violenti, il valore totale del PAC non è mai sceso sotto quanto versato fino a quel momento, perché gli acquisti fatti ai prezzi bassissimi hanno compensato ampiamente i cali momentanei. Questo significa che, nonostante l’altissima volatilità, l’investitore ha vissuto un percorso sorprendentemente stabile, almeno rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un asset così turbolento.

Questa storia, però, offre anche un monito importante. Se fosse stato un piano di accumulo fatto non su Bitcoin, ma su un singolo titolo azionario tradizionale, magari di una società in crisi strutturale, il rischio di concentrazione avrebbe potuto giocare un brutto scherzo. Accumulare su un unico asset porta inevitabilmente ad aumentare la percentuale di quel titolo sul portafoglio totale. E se quell’asset fallisse o subisse un declino irreversibile, l’intero piano di accumulo si trasformerebbe in un boomerang. È questo il motivo per cui ai piccoli risparmiatori, e in generale agli investitori che non vogliono o non possono monitorare con competenza la situazione macro e microeconomica dei singoli asset, si raccomanda di applicare il PAC su fondi comuni o SICAV, strumenti che di per sé rappresentano una diversificazione su decine o centinaia di titoli e settori. In questo modo, si ottiene lo stesso effetto di abbattimento del prezzo medio grazie agli acquisti regolari, ma senza concentrare il rischio su una singola scommessa.

Eppure, questa esperienza con Bitcoin insegna che, in alcuni casi particolari, la volatilità non è soltanto una minaccia da cui proteggersi, ma diventa la leva stessa che moltiplica il risultato. Il PAC in Bitcoin ha dato frutti incredibili proprio perché il prezzo ha oscillato enormemente: se Bitcoin fosse salito in modo lineare e costante, senza mai ritracciare, il numero di unità accumulate sarebbe stato molto minore e il risultato finale sorprendentemente più basso. La volatilità, tanto temuta, ha permesso di acquistare molte più unità nei momenti di forte ribasso, preparando così il terreno per il boom successivo.

Questo ci riporta a un concetto fondamentale nella gestione patrimoniale, valido non solo per Bitcoin ma per qualunque mercato: la differenza tra rischio e volatilità. Molti confondono i due termini, ma non sono la stessa cosa. La volatilità è semplicemente la misura delle oscillazioni dei prezzi nel tempo. Il rischio, invece, è la probabilità di perdere definitivamente il capitale. Un asset può essere molto volatile ma non necessariamente rischioso, se nel lungo periodo ha solide prospettive di crescita. Viceversa, un titolo apparentemente tranquillo ma di un’azienda tecnicamente fallita ha un rischio altissimo, pur oscillando poco. Il PAC su Bitcoin ha mostrato che la volatilità, quando affrontata con metodo e disciplina, può addirittura diventare un fattore propulsivo.

Naturalmente, questo non significa che ogni investitore dovrebbe correre a fare PAC su criptovalute o su asset altamente volatili. Ma indica chiaramente come la strategia dell’accumulo costante sia in grado di trasformare un percorso potenzialmente instabile in una crescita robusta, purché supportata da una visione di lungo termine e dalla consapevolezza del profilo dell’asset scelto. Nel caso di Bitcoin, si è trattato di un connubio irripetibile tra un’innovazione tecnologica rivoluzionaria, un’adozione crescente a livello globale e un meccanismo di scarsità programmata che ha moltiplicato i ritorni. Un mix eccezionale, certo, ma che ribadisce il potere delle strategie regolari anche in contesti fuori dal comune.

Alla fine di questa lunga cavalcata, l’insegnamento più potente non è tanto nel numero stellare — quei 450 milioni di dollari accumulati da un piano che ha versato solo 18.000 dollari in quindici anni — quanto nella dimostrazione che, in finanza, la costanza e la disciplina battono quasi sempre l’istinto e il tentativo di “fare il colpo grosso”. Il nostro investitore ipotetico non ha mai provato a cronometrare il mercato. Non si è mai chiesto se il momento fosse quello giusto o sbagliato. Ha semplicemente seguito un piano, mese dopo mese, ignorando completamente le notizie che annunciavano l’ennesima “fine di Bitcoin” o i festeggiamenti scomposti di chi gridava al nuovo oro digitale ogni volta che si segnava un massimo storico.

Questa è, in fin dei conti, la lezione universale che qualunque risparmiatore — sia esso un piccolo investitore, un gestore professionale o uno speculatore — dovrebbe portare a casa: più della genialità di prevedere il futuro, conta l’umiltà di riconoscere che non possiamo controllarlo, e la saggezza di prepararsi con un metodo che funzioni proprio quando le previsioni falliscono. In questo senso, il Piano di Accumulo del Capitale resta uno degli strumenti più eleganti e democratici della finanza: accessibile a tutti, semplice da comprendere, straordinariamente efficace quando la pazienza è più forte della paura e dell’euforia.

 Visualizza la serie storica del Pac in Bitcoin

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