Alle origini della finanza moderna

Alle origini della finanza moderna

Quando oggi sentiamo parlare di rendimento, rischio, diversificazione, ci sembra tutto normale, quasi banale. Eppure non lo è. Non lo è stato per millenni. L’idea che si possa pensare all’incertezza in modo matematico, che si possa gestire il rischio con calcoli precisi, è un’acquisizione recente, moderna. Per molto tempo, l’uomo ha considerato l’incertezza come qualcosa di misterioso, legato al destino, alla fortuna, agli dèi. Solo in epoca moderna si è cominciato a trattarla come una variabile da studiare, modellare, perfino dominare.

Tutto comincia con il gioco. Non con la borsa, non con gli investimenti, ma con i dadi. Siamo nel Seicento: Blaise Pascal e Pierre de Fermat si scrivono per discutere di un problema riguardante la divisione delle vincite in un gioco d’azzardo interrotto. È da lì che nasce la teoria della probabilità. Non dalla finanza, ma dal desiderio di dare un senso razionale a ciò che sembrava aleatorio. E questo non è un dettaglio: la finanza moderna nasce non per amore del denaro, ma per amore del calcolo.

Pochi decenni dopo, Daniel Bernoulli introduce il concetto di utilità attesa. Non è il denaro in sé a determinare la scelta razionale, ma quanto peso ha per me quel denaro. Perdo 100 euro, ma sono ricco? Poco male. Li perdo, ma sono al verde? Un disastro. Da qui l’intuizione che ogni scelta finanziaria deve essere letta non solo in termini oggettivi, ma anche soggettivi. È un passaggio fondamentale: l’investitore entra in scena non solo come calcolatore, ma come essere umano con preferenze, paure, desideri.

Tuttavia, tutto questo resta per secoli confinato al pensiero teorico, filosofico, matematico. La finanza vera e propria, quella dei mercati, dei titoli e dei portafogli, si sviluppa in modo più empirico. Si investe seguendo l’istinto, l’esperienza, il buon senso. E funziona, finché funziona. Ma quando arriva la crisi – e arriva, come sempre – si capisce che l’istinto non basta.

Nel 1900, un giovane matematico francese, Louis Bachelier, pubblica una tesi tanto geniale quanto incompresa: Théorie de la spéculation. Per primo immagina che i movimenti dei prezzi in borsa seguano un processo simile al moto browniano, cioè casuale ma calcolabile statisticamente. Nessuno lo prende sul serio, anche perché Bachelier è troppo in anticipo. Solo molti decenni dopo verrà riscoperto e celebrato come il precursore della finanza stocastica.

Nel frattempo, la storia fa il suo corso. La crisi del 1929 spazza via ogni illusione di controllo. Crollano i mercati, si azzerano le fortune, milioni di persone perdono lavoro e risparmi. È il momento in cui il mondo si accorge che serve una scienza della finanza, non solo per guadagnare, ma per evitare disastri. È il momento in cui l’incertezza va affrontata, non aggirata.

Ed è qui che nasce davvero la finanza moderna, anche se il nome ancora non esiste. Bisogna aspettare gli anni ’50 per vedere emergere una nuova generazione di studiosi pronti a portare matematica e logica nei mercati. Uno di questi è Harry Markowitz, ma ne parleremo nella prossima lezione.

Quello che conta sapere ora è che in questo passaggio storico – tra la speculazione cieca e la gestione razionale – si pongono le basi per un nuovo modo di pensare: non più scegliere “l’azione migliore”, ma costruire il miglior insieme di azioni, cioè un portafoglio. Non più evitare il rischio, ma misurarlo, accettarlo, gestirlo con consapevolezza.

È una rivoluzione silenziosa, che cambierà tutto: il modo in cui si investe, si studia l’economia, si prendono decisioni. E che darà origine a strumenti e modelli che oggi sono alla base del funzionamento dei mercati globali.

La finanza moderna nasce quindi da una tensione tra paura e calcolo, tra caos e struttura. E il suo sviluppo non è solo una storia di numeri, ma una storia di uomini che hanno avuto il coraggio di guardare dentro l’incertezza e dire: possiamo capirla. Possiamo darle una forma.

Da qui partiamo. Dalla fine dell’istinto cieco, dall’inizio della consapevolezza numerica. La prossima tappa è il pensiero di Markowitz e la sua teoria del portafoglio: un ponte tra rischio e rendimento, tra sogno e rigore.

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