Il supporto teorico però, non essendo stato sviluppato con queste premesse, non risulta ancora in grado di inquadrare e favorire effettivamente l’analisi del portafoglio dal punto di vista della sua gestione quantitativa. Lo stato dell'arte della letteratura accademica sulla teoria di portafoglio, pur non dimostrandosi efficaci poiché non sono state sviluppate nelle stesse condizioni in cui oggi si trova il mercato, rimangono comunque una valida linea guida e dettano riferimenti importanti.
La letteratura pertanto mette a disposizione un ottimo background ma non favorisce risposte immediatamente utilizzabili, nonostante siano presenti intuizioni e spunti chepossono essere trasferiti all’analisi quantitativa.
Nell’ambito della gestione quantitativa, le poche direttive a disposizione presentano una definizione ancora poco chiara, la loro declinazione è principalmente relativa solo ad alcuni aspetti, enfatizzati per avvalorare il punto di vista dell’autore. Questo dimostra come in materia, nonostante un’esaustiva modellazione teorica matematica, non si siano ancora delineate concrete risposte a livello sistematico. Bisogna inoltre considerare che chi sviluppa strategie di trading non pubblica certo i propri risultati nel momento in cui questi si dimostrano brillanti e soprattutto proficui. Questa dissertazione cerca quindi di offrire un quadro generale, partendo dalle premesse teoriche fino ad arrivare all’approccio quantitativo della gestione di portafoglio, evidenziandone alcune problematiche su cui finora non sono state definite posizioni precise.
Il problema che si cerca di risolvere attraverso la gestione quantitativa del portafoglio è la riduzione del rischio tramite strategie che non dipendano dalla diversificazione dei titoli che compongono il portafoglio.
Nel momento in cui si decide di applicare un trading system su un determinato gruppo di asset, il capitale non viene allocato automaticamente su tutti i titoli e si deve affrontare invece un continuo investimento tramite l’apertura dinamica di posizioni sul mercato.
Questo significa che la diversificazione non è più una misura adeguata del rischio sostenuto poiché i rendimenti attesi dell’investimento non dipendono più dalle proprietà stesse degli strumenti scelti, ma dalla profittabilità dei segnali generati dalla logica del trading system su questi. Bisogna testare in questo caso le performance del sistema a livello statistico e prevedere anche, per esempio, che l’algoritmo possa generare dei segnali errati che portano a delle posizioni in perdita.
Il portafoglio a livello quantitativo deve essere gestito tramite dei trading system che abbiano la possibilità di valutare aspetti globali, come il profitto totale di tutte le posizioni attualmente aperte, o l’intero rischio sostenuto dal capitale gestito. Le decisioni non vengono prese dall’analisi delle prestazioni individuali che la strategia ottiene operando sui singoli titoli. Per affrontare una possibile soluzione a questa problematica si sono quindi selezionati due trading system le cui prestazioni fossero robuste su un intero portafoglio e non solo su determinati titoli. In un successivo momento vengono analizzate le prestazioni del portafoglio aggiungendo ai test due ulteriori strategie di uscita: lo stoploss di portafoglio e il target di portafoglio. Nonostante esse ricalchino idee ampiamente utilizzate per la gestione delle singole posizioni su un titolo, per i test si è deciso di modificarle implementando la gestione globale del capitale all’interno del trading system di portafoglio.
Forse la più semplice e generica definizione che si possa dare al portafoglio è quella di “investimento su una combinazione di diversi asset finanziari ben diversificati tra loro”, siano essi azioni, bonds, opzioni. La prudenza suggerisce, infatti, che si debba costruire un portafoglio per investire in accordo con la propria tolleranza al rischio e con i propri obiettivi di guadagno. Per ottenere ciò, l’allocazione degli strumenti all’interno del portafoglio d’investimento è divisa tra differenti categorie di asset presenti in proporzioni differenti. La gestione dell’investimento frammentata in vari asset è dettata dall’esigenza di collocare il portafoglio in un predeterminato rapporto di rischio / rendimento. Ad esempio, un investitore particolarmente conservativo potrebbe preferire un portafoglio con una parte maggioritaria di azioni a larga capitalizzazione o investimenti in bonds; all’opposto un investitore più incline al rischio potrebbe preferire un pacchetto diazioni a bassa capitalizzazione o bonds ad alto rendimento. Il ragionamento effettuato in queste righe è il risultato di una visione dell’investimento dettato dai principi della Modern Portfolio Theory che viene ampiamente utilizzata tutt’ora.
I risultati chiave di questa teoria implicano che la volatilità di portafoglio è minore della volatilità media ponderata sul capitale investito per ogni singola componente. La curva che delinea la frontiera efficiente rappresenta tutti quegli infiniti portafogli che massimizzano i rendimenti per un dato livello di rischio, o che minimizzano il rischio per un dato livello di rendimenti. L’algoritmo utilizzato per generare la curva è conosciuto come Mean Variance Optimization (MVO), poiché ciò che viene ottimizzato è il ritorno rispetto alla deviazione standard, o la varianza rispetto la media dei ritorni. Nonostante questa teoria venga adottata come riferimento standard per la descrizione della teoria di risk/reward nei libri di testo, Markowitz stesso pensò che una distribuzione normale della varianza era una misura del rischio inadeguata. Sono stati proposti poi modelli che adottano distribuzioni asimmetriche e fat tailed per descrivere il rischio: tutte le proposte nate come osservazioni o critiche alla teoria di Markowitz compongono quella che è chiamata Post-Modern Portfolio Theory (PMPT).
Brian M. Rom e Kathleen W. Ferguson in “Post - Modern Portfolio Theory comes of age”, sottolineano come la combinazione tra i progressi nelle teorie di portafoglio e la sempre crescente capacità di calcolo offerte dalla costante evoluzione tecnologica abbia portato la Post Modern Portoflio Theory a scavalcare in qualità la teoria precedente, che ne diventa semplicemente, all’interno del modello rinnovato, un caso particolare caratterizzato da una distribuzione simmetrica.
Post Modern Portfolio Theory
Senza addentrarci all’interno del modello, notiamo che la differenza essenziale tra PMPT e Modern Portfolio Theory di Markowitz e Sharpe (MPT) risiede nell’utilizzo di una diversa strategia di asset allocation. Secondo i suoi sostenitori, la PMPT conduce ad una più evoluta scienza dell’investimento incorporando la finanza comportamentale e diverse altre innovazioni che portano a migliori ritorni nel lungo periodo. Secondo David Nawrocki, “In Search of the Philosopher's Stone," David Nawrocki, SmithBarney Consulting Group, delivered at Villanova University, 2003:
"Post-modern portfolio theory...is a closer match to investor behavior..." and "the appropriate response to a nonstationary world is to be adaptive through gradual adjustments to beliefs or expectations...You cannot forecast 20–30 years into the future but you can steer a path through the future with small-to-major adaptations for 20–30 years."
By molding the mathematical tools of allocation to fit human behavior and by incorporating the inherently unstable or "nonstationary" nature of reality into portfolio theory, PMPT can provide genuinely useful insights to make us better advisors.
Secondo Sortino, 1998, fondatore del Pension Research Institute in San Francisco, California, e illustre esponente della Post Modern Portfolio Theory, le basi teoriche dettate da Markowitz e Sharpe definiscono semplicemente un modello di equilibrio che tenta di risolvere il problema teorico dell’investimento simultaneo da parte di tutti gli agenti razionali del sistema. La MPT non è più quindi la migliore e unica risposta alla domanda di quali siano le regole per la costruzione di un portafoglio migliore e su come si possa ottimizzarlo.
Conflitto tra il modello e il mercato reale
Alcune delle critiche alla MPT fanno leva sul grande divario tra il mercato reale e le ipotesi su cui questa si basa. Fattori come il rischio, il rendimento e la correlazione usati nella MPT si basano su valori attesi, cioè assunzioni matematiche sul futuro (il valore atteso per il rendimento è esplicito nell’equazione e lo si trova in maniera indiretta anche nella definizione di varianza e covarianza ). Per quanto riguarda rendimenti, correlazione e rischio, bisogna dedurre dei valori empirici dall’analisi delle serie storiche dei prezzi e andare ad inserirli nel modello per poter eseguire i calcoli. Ma come comunemente accade nell’ambito della simulazione, questi valori “storici” perdono il loro potere predittivo proprio perché non riescono a tenere conto della “attualità”, ossia delle nuove circostanze che continuamente si presentano nel mercato. Le serie storiche spesso non hanno la capacità di predire le condizioni future poiché queste ultime sono elementi nuovi, non erano presenti nel passato.
La MPT tenta quindi di modellare il rischio in termini di probabilità di perdita, ma non specifica nulla per quanto riguarda il motivo di queste perdite. Si può affermare quindi che le misure del rischio utilizzate in questa teoria sono di natura probabilistica, non strutturale. Questa è la maggior differenza tra la MPT e gli altri approcci quantitativi ed ingegnerizzati alla gestione del rischio, risk management.
Di seguito viene riportata una brillante citazione di Douglas W. Hubbard, che la mette in risalto con una metafora molto efficace:
Options theory and MPT have at least one important conceptual difference from the Probabilistic Risk Assessment done by nuclear power [plants]. A PRA is what economists would call a structural model. The components of a system and their relationships are modeled in Monte Carlo simulations.
If valve X fails, it causes a loss of back pressure on pump Y, causing a drop in flow to vessel Z, and so on. But in the Black-Scholes equation and MPT, there is no attempt to explain an underlying structure to price changes.
Various outcomes are simply given probabilities. And, unlike the PRA, if there is no history of a particular system-level event like a liquidity crisis, there is no way to compute the odds of it. If nuclear engineers ran risk management this way, they would never be able to compute the odds of a meltdown at a particular plant until several similar events occurred in the same reactor design.
Douglas W. Hubbard, 'The Failure of Risk Management' - John Wiley & Sons, 2009
Le basi matematiche di questa teoria vedono il mercato come una grande collezione di dati. Con un’attenta analisi delle serie storiche possiamo analizzare il mercato e formulare delle ipotesi su come questi dati siano pesati, ma questo tipo di modello non ci torna utile nel momento in cui i mercati sono effettivamente un sistema caotico e molto più complesso. Per questa ragione è poco probabile che i pur sofisticati modelli strutturali dei reali mercati finanziari siano validi modelli predittivi. Ciononostante c’è una crescente consapevolezza del concetto di rischio sistematico nei mercati finanziari, che dovrebbe portare, in futuro, ad una modellazione più sofisticata dei mercati finanziari.
Sarebbe da sottolineare un altro aspetto concernente le misure matematiche del rischio: queste sono tanto utili quanto lo è la loro capacità di riflettere gli interessi reali degli investitori, non ci sarebbe alcuna ragione di minimizzare una variabile di cui nessuno tiene conto nella pratica del mondo reale. È difficile quindi riuscire a elaborare un modello teorico che rappresenti anche gli aspetti pratici del mondo reale; un esempio è quello della PMPT che cerca di inserire elementi di finanza comportamentale all’interno della sua modellazione.
MPT usa il concetto matematico di varianza per quantificare il rischio, e questo può essere giustificato sotto l’assunzione di una distribuzione normale dei rendimenti, ma per distribuzioni generiche di rendimenti, altre misure del possono riflettere meglio le effettive preferenze degli investitori. In particolare, la varianza è una misura simmetrica che valuta quindi come anomali rendimenti troppo alti, o perdite troppo basse. E facile sostenere come in realtà gli investitori siano preoccupati per le perdite, e non si preoccupino per una dispersione positiva di rendimenti superiori alla media. Secondo questa visione, il nostro concetto intuitivo di rischio è fondamentalmente asimmetrico per natura umana. MPT pertanto non tiene conto di fattori personali, ambientali, né delle dimensioni strategiche o sociali delle decisioni che portano ad effettuare un investimento.
Essa tenta solo di massimizzare rendimenti adeguati al rischio che si vuole sostenere, senza considerare ulteriori conseguenze. Nassim Nicholas Taleb, Financial economist, critica la MPT in maniera molto accesa:
Dopo il crollo del mercato azionario (nel 1987), hanno premiato due teorici, Harry Markowitz e William Sharpe, che hanno costruito magnificamente modelli platonici su base gaussiana, contribuendo a quello che viene chiamato Modern Portfolio Theory. Semplicemente, se si rimuovono le loro ipotesi gaussiane e si trattano i prezzi come scalari, si rimane con nulla. Il Comitato per il Nobel avrebbe dovuto testare i modelli di Sharpe e Markowitz – che hanno l’effetto dei rimedi ciarlatani venduti su Internet - ma nessuno a Stoccolma sembra averci pensato.