Maschilismo preraffaellita e femminismo omofobo.
Quando si ha della vita una visione manichea si rischia di smarrire la verità. E tutto per compiacere #MeToo, la campagna contro le molestie sessuali ormai diventata virale.
È quanto è accaduto a un celebre dipinto di John William Waterhouse, affascinato e sedotto dal mito di Ila. Waterhouse è stato un pittore della Confraternita preraffaellita, particolarmente attivo su dipinti del ciclo mitologico e arturiano, ma qualche giorno fa ha subito lo smacco dello sfratto dalla Manchester Art Gallery: infatti uno dei suoi dipinti passati alla memoria collettiva è stato ritenuto offensivo. ‘Ila e le Ninfe’ (del 1896) a insindacabile giudizio di Clare Gannaway, infaticabile curatrice della collezione d’arte contemporanea del museo, è stato rimosso dalla parete perché colpevole di esprimere un linguaggio maschilista e offensivo nei confronti delle donne. Ve lo ricordate il quadro, no? Ila, un teenager muscolosissimo e di bell’aspetto, si sporge sullo stagno dove sette ninfe stanno evidentemente raffreddando i propri estrogeni. Al di là dei boccacceschi commenti da caserma che ci ha sempre suscitato un dipinto del genere, rosi più che altro da una sana invidia maschia, immersi sui testi d’arte e di mitologia scoprivamo però con una certa delusione la natura di Ila. Haivoglia cara Miss Gannaway a lanciare il suo anacronistico j’accuse di stampo femminista su Waterhouse e su quel frame dai toni impressionisti e pioneristici rispetto a Snapchat, ma la nuda (è il caso di dire) verità è un’altra.
Potremmo anche pensare che sia stata una forma di marketing museale tant’è che la parete orfana del dipinto è la più ‘visitata’ ed è stata tappezzata da post it da parte dei visitatori in cui ognuno lascia un proprio commento (e non sono molto lusinghieri per questa forma di censura artistica). È vero che non siamo di fronte a una sindrome di Stendhal davanti a contemporanei foglietti gialli vergati da appassionati e scolaresche, ma restiamo basiti dalle argomentazioni di Miss Gannaway, che ha tolto quella tela a suo dire rappresentante la mercificazione delle nudità femminili, allontanando dal museo quei corpi fissati dalla cupidigia maschile e da una voluttà porcina presente in tutti coloro che negli anni si sono imbattuti nelle bianche carni delle sette ninfe.
Ebbene tutto ciò è un falso ideologico. E sì, basta leggere il mito di Ila. Il giovane belloccio, invidiato da noi tutti sin dai tempi della pubertà, era in verità il compagno di Ercole. Il forzuto spaccamontagne non solo lo rende orfano ammazzandogli il padre, ma lo rapisce perché se ne era invaghito, presto ricambiato. L’eromeno, cioè nella cultura classica l’adolescente che ha un rapporto di profonda amicizia virile con un adulto (che non è detto che abbia una finalità sessuale), si imbarca con la truppa degli Argonauti assieme al suo amato. Durante uno scalo della nave a Misia (nella Turchia asiatica) la coppia di innamorati sbarca per cercare una fonte d’acqua dolce, Ila trova presto uno stagno d’acqua potabile ma le ninfe che danzano nei prati se ne innamorano subito, talmente tanto che appena il giovanotto dai gusti sessuali contrari prova a fare scorta idrica quelle se lo trascinano via. Ercole accorre alla grida disperate di Ila (che sa bene qual è il futuro che lo attende: sette ninfe affamate di sesso che lo violenteranno a turno chissà per quante notti non è una bella prospettiva) ma ormai è troppo tardi, il giovane è stato rapito per l‘eternità e non ci sarà nessun riscatto da pagare.
Ebbene, cara Miss Gannaway, ora è lei a essere accusata di omofobia. Lei probabilmente non tollera la scelta di Ila di non includere la bellezza femminile tra i propri gusti sessuali, evidentemente è una discriminante che sfocia in una bieca censura. Povero Ila, che ha subito in vita una ripetuta violenza carnale consumata tra i giunchi del Bosforo da parte di ossesse del sesso mentre ora il suo mito artistico viene oscurato perché fatto passare per uno spregevole maschilista seduttore di pavide e verginali fanciulle.