Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, tra gli stati che la componevano c’erano anche cinque repubbliche dell’Asia centrale che all’inizio degli anni Novanta hanno autoproclamato la propria indipendenza.
Si tratta del Turkmenistan, Kazakistan, Tagikistan, Kirghisistan e Uzbekistan.
Di esse si sa molto poco, forse solo qualche cenno storico, più che altro dell’Uzbekistan per comprendere sul proprio territorio città note per trovarsi su quella via della seta come la mitica (anche per la canzone di Vecchioni) Samarcanda e Bukhara, quest’ultima anche per i suoi tappeti. Un bel supporto alla loro conoscenza viene ora da Erika Fatland, una scrittrice e antropologa finlandese, che ha scritto un libro molto interessante e istruttivo intitolato “Sovietistan”, edito da Marsilio col sottotitolo “Un viaggio in Asia centrale”, da prendere anche come un invito per quanti sono stanchi delle solite proposte modaiole.
C’è da dire che personalmente sono appena reduce da un viaggio in Uzbekistan e il libro della Fatland mi ha accompagnato lungo un percorso, che mi ha particolarmente colpito per i tanti tesori architettonici di arte islamica, la cura dei giardini e dei parchi delle città, e per la cordialità della gente. Certo, per il resto, sono visibili residui di arretratezza, ma parliamo di territori sconfinati di steppa bruciati da un sole che qui splende 250 giorni all’anno, per concentrarsi ben oltre i 40 gradi centigradi nei tre mesi centrali dell’estate. Da aggiungere che l’Uzbekistan non ha sbocchi al mare.
Ma è un po’ così per tutte le altre quattro repubbliche dell’Asia centrale, fatta eccezione per il Turkmenistan, che si affaccia per un lato sul mar Caspio, mentre una folle politica sovietica, che aveva puntato a trasformare i campi dell’Uzbekistan e del Kazakistan in una intensiva monocoltura del cotone, ha finito per prosciugare del tutto il grande lago Aral, per altro neppure più alimentato dal fiume Amu Darya la cui foce ora, per un erroneo progetto di irrigazione, si perde nel deserto.
Ma non sta solo qui il tragico lascito dell’influenza sovietica, che caratterizza un po’ tutta la vita dei paesi dell’Asia centrale. Sempre il Kazakistan è stato usato dai sovietici per esperimenti nucleari che hanno visto esplodere ben 400 bombe atomiche, rendendo il territorio intorno a Semipalatinsk un cimitero e un ricovero di malati di cancro. Erano anche Stati in cui Stalin ha fatto deportare ben 18 milioni di persone, non allineate al regime, moltissime morte di malattie e di stenti, altre fucilate. Per non parlare poi dei regimi scarsamente democratici che sono seguiti e che caratterizzano ancora la vita politica. Quasi tutti gli Stati qui hanno a capo un presidente che mantiene il potere dal primo giorno di indipendenza, collocabile, a seconda delle repubbliche, tra il 1991 e il1992, cioè da quasi trent’anni. Potere, per altro, ricevuto già al tempo dei sovietici provenendo tutti dalle file del Partito Comunista, anche se oggi questo non c’è più, per aver scelto tutti un’opzione nazionale e tradizionale sul piano della religione ma in una dimensione fortemente laica, che vede nel fondamentalismo islamico il peggior nemico. Così come lo vede nella libertà di stampa, di associazione e di manifestazione. Della tradizione sovietica e stalinista, pur con carature diverse, rimane anche il culto della persona. Il Turkmenistan, dal 1991 al 2006, quand’è morto, ha avuto in Turkmenbashi, alias Saparmurat Atayewiç Nyýazow, il padre è padrone che piazzava le sue statue d’oro nelle piazze e imponeva nelle scuole la lettura obbligatoria del suo libro Ruhnama, cioè “Il libro dell’anima”. Alla sua morte, il suo posto è stato preso da Gubanguly Berdimuhamedow, con un passato di dentista, che ne ricalca le orme. Scrive la Fatland: “Nel 2010 il dentista assunse il titolo di Arkadag ‘il Protettore’. Due anni dopo in città apparve il suo primo ritratto scultoreo. Diversamente dalle statue dorate di Turkmenbashi, era in marmo bianco”. In Uzbekistan ha dominato per 26 anni, fino al 2016, Islom Karimov, con meccanismi simili e gli eccessi della figlia Lola che ora, comunque, si trova agli arresti famigliari, mentre il potere è passato al primo ministro Mirziyoev, un ingegnere che punta molto alla modernizzazione del paese. Il più libero e democratico sembra essere il Kirghisistan, il quale però è anche il più povero, con un terzo degli abitanti che vive sotto la soglia della povertà e che “come il Tagikistan, per poter tirare avanti, dipende dai guadagni dei lavoratori che sono emigrati in Russia”.