Lasciamo Khiva, dopo un’ottima e abbondante prima colazione, per dirigerci all’aeroporto di Urgench e imbarcarci sul volo interno, di un’ora circa, per Bukhara.
Qui il clima è decisamente più caldo, con una temperatura che sfiora i 40 gradi e senza il sollievo del piacevole venticello di cui avevamo goduto a Khiva.
Ma il desiderio e l’entusiasmo di scoprire questa nuova meta del nostro viaggio ci infonde le energie necessarie. Bukhara non è un piccolo centro raccolto come Khiva, ma tutto è comunque raggiungibile a piedi.
C’è davvero tanto da vedere in questa antichissima città museo sopravvissuta nel tempo, alcuni monumenti risalgono al 9-10° secolo, realizzati in mattoni di fango caratteristici della zona, a differenza del resto del mondo, dove l’architettura islamica faceva uso prevalentemente della pietra.
Difficile, anzi impossibile, trasferire su carta l’atmosfera unica dei vicoli labirintici del centro storico, delle piazze piene di famiglie che passeggiano, mangiano, danzano, giocano all’ombra dei gelsi secolari, sempre sorridenti e desiderosi di far sentire a proprio agio i turisti.
Le madrase, le fortezze reali, le moschee, gli splendidi mosaici, le cupole color turchese, gli alti minareti e il trionfo di colori degli abiti, dei tappeti, degli oggetti di artigianato in vendita un po’ ovunque contribuiscono a dare l’impressione di trovarsi in un luogo sospeso nel tempo.
Visitiamo la fortezza di Ark, , l’antica città reale, il prezioso Mausoleo di Ismail Samani e quello di Chasma Ayub, della fonte di Giobbe (all’interno un piccolo ma interessante museo dell’acqua), il minareto Kalon, la moschea di Bolo-Khauz, il complesso Poi-Kalyan, il bazar coperto, la splendida piazza del Lyabi-Hauz, cuore e centro catalizzatore della città, costruita intorno ad un’enorme vasca e circondata da edifici religiosi, caravanserragli e antiche madrase.
La sosta per il pranzo ci consente di gustare il caratteristico plov (pilaf), piatto a base di riso, carne, carote, cipolle, aglio, cumino, peperoncino e uvetta, preparato davanti ai nostri occhi.
C’è talmente tanto da vedere, in uno spazio così concentrato, che i nostri occhi sembrano non bastare a contenere tutto e confidiamo che l’obiettivo della macchina fotografica, catturando e fermando qua e là scampoli delle bellezze da cui siamo circondati, contribuisca a fissare meglio i tanti input visivi che stiamo ricevendo.
Abbiamo la fortuna di trovarci a Bukhara in coincidenza col Festival internazionale della seta e delle spezie, divenuto nel tempo una vera e propria celebrazione della cultura uzbeka, una tre giorni dedicata alla promozione e conservazione delle antiche arti del paese.
Lavorazioni artigiane della seta naturale, dell’oro, della ceramica e del legno vengono esposte praticamente ovunque, accanto a spezie, tè ed infusi vari.
Un trionfo di bancarelle diffuse, tra un mare di colori, in tutte le vie e le piazze centrali della città, mèta di genti venute da tutto il paese per acquisti ai quali pure noi non sappiamo sottrarci.
Ci lasciamo andare al flusso del fiume umano dei tanti visitatori del festival, siamo inebriati dai profumi delle spezie, dal trionfo di colori di tappeti, tessuti e oggetti vari esposti ovunque.
In questo contesto possiamo anche toccare con mano gli aspetti più comportamentali del vivere quotidiano della gente che si rivela ammirevole per la sua spontaneità nei rapporti, i volti sempre sorridenti, quasi orgogliosi di esibire le loro dentiere d’oro. E’ un piacere essere avvicinati da persone, più le donne in verità che, incontrandoci, desiderano essere fotografate con noi, un desiderio per altro ricambiato, non essendo minore il nostro di fotografarle ed essere fotografati con loro. Una estrema cordialità che è il tratto più tangibile di questo popolo sospeso tra passato, presente e futuro, dove incontri donne con i loro vestiti lunghi e colorati, composti da una tunica ricamata e sotto i pantaloni dello stesso colore, ma anche donne, in particolari le più giovani, vestite all’occidentale, seppur con un tocco d’oriente nei colori sempre accesi, il rosso ad esempio, e nei ricami, mentre magari si riparano dai raggi infuocati del sole con un ombrellino.
Il programma del festival include performance di bande provenienti da diversi parti del paese, giochi nazionali, degustazioni di cibo uzbeko. Assistiamo ad una sfilata di moda e veniamo invitati a partecipare a danze entusiasmanti davanti alla madrasa Nodir Devan Beghi.
Impossibile, infine, non fare una visita ad uno dei centri di realizzazione dei famosissimi tappeti con motivi ad esagoni ed ottagoni, di cui parlò anche Marco Polo. Quelli più di pregio sono in seta finissima, quasi impalpabili, ma hanno prezzi che pochi possono permettersi di spendere. Sorseggiando un ottimo tè, scopriamo che il tappeto cosiddetto “Bukhara” si chiama così non tanto e non solo perché prodotto in questa città (adesso è così), ma perché per secoli qui era il centro nevralgico di scambio dei tappeti tra Oriente e Occidente.
Dopo tre giorni di immersione totale nella contagiosa atmosfera di Bukhara, chiudiamo le valigie, lasciamo il comodo Hotel Zargaron Plaza e saliamo sul pulmann che ci porterà a Samarcanda, con una sosta importante a Shakizabz.