Una clausola contrattuale abusiva e poco chiara sul rischio di cambio per il mutuatario, non in linea con le disposizioni legislative, può essere soggetta a controllo giurisdizionale.
Questo, in sostanza, quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE nella causa C 51/17 con la sentenza del 20 settembre 2018.
La causa verteva su un caso di un mutuo stipulato da una banca ungherese, espresso in franchi svizzeri, stipulato nel 2008 le cui rate mensili venivano calcolate al tasso di cambio corrente tra il fiorino ungherese e il franco svizzero.
Nel corso di un procedimento giurisdizionale promosso nel 2013 dai mutuatari (danneggiati dall’aumento notevole subito dalle rate mensili di mutuo, a causa delle sensibili variazioni del tasso di cambio) dinanzi ai giudici ungheresi, è emersa la questione se la clausola del rischio di cambio fosse stata redatta in modo non chiaro e comprensibile e fosse, pertanto, da considerarsi abusiva, ai sensi della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente appunto le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.
Nel 2014, in pendenza del procedimento suddetto, lo stato ungherese ha emanato una normativa volta ad eliminare le clausole abusive dai contratti espressi in valuta estera e a convertire in UHF tutti i debiti contenuti negli stessi, applicando il tasso di cambio fissato dalla Banca nazionale di Ungheria. Tutto ciò anche in considerazione a quanto deciso dalla Corte Suprema ungherese (Kùria) sull’incompatibilità con le direttive europea di alcune clausole contenute nei contratti di muto in valuta estera.
Nel corso del procedimento, investita dalla controversia, la Corte di Appello regionale di Budapest-Capitale ha chiesto alla Corte Europea se essa possa valutare l’abusività di una clausola, nel caso la stessa non sia espressa in modo chiaro e comprensibile, stante anche la carenza di intervento del legislatore ungherese su tale specifico punto.
A seguire, quanto testualmente contenuto nel comunicato stampa n. 137/18 della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
“Nella sua sentenza odierna, la Corte ricorda che la norma che esclude dall’ambito di applicazione della direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative è giustificata dal fatto che è legittimo presumere che il legislatore nazionale abbia stabilito un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti del contratto. Tuttavia, ciò non significa che un’altra clausola contrattuale non oggetto di disposizioni legislative, come nel caso di specie quella relativa al rischio di cambio, sia anch’essa integralmente esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva. Il carattere abusivo di tale clausola può allora essere valutato dal giudice nazionale qualora consideri, in seguito ad un esame caso per caso, che essa non sia stata redatta in modo chiaro e comprensibile.
A tal riguardo, la Corte dichiara che gli istituti finanziari sono obbligati a fornire ai mutuatari informazioni sufficienti per consentire a questi ultimi di adottare le proprie decisioni con prudenza e in piena cognizione di causa. Ciò implica che una clausola relativa al rischio di cambio debba essere compresa dal consumatore sia sul piano formale che sul piano grammaticale, ma anche quanto alla sua portata concreta. Ne consegue che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, deve poter non solo essere consapevole della possibilità di deprezzamento della valuta nazionale rispetto alla valuta estera in cui il mutuo è stato espresso, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una clausola del genere sui suoi obblighi finanziari.
Inoltre, la Corte precisa che la chiarezza e la comprensibilità delle clausole contrattuali devono essere valutate facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che hanno accompagnato quest’ultima, nonché a tutte le altre clausole del contratto, sebbene alcune di tali clausole siano state dichiarate o presunte abusive e annullate, per tale ragione, in un momento successivo dal legislatore nazionale. Infine, la Corte conferma che spetta al giudice nazionale rilevare d’ufficio, in luogo del consumatore nella sua qualità di parte ricorrente, il carattere eventualmente abusivo di clausole contrattuali diverse da quella relativa al rischio di cambio, qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine.”
Ricordiamo che, come riporta chiaramente il sito della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.