LO STRANO CASO DI GBM BANCA

LO STRANO CASO DI GBM BANCA

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Da salotto buono della finanza pugliese al commissariamento e conseguente amministrazione straordinaria da ottobre 2015 a gennaio 2017, fino all’attuale assetto grazie alla cessione di oltre il 75% al fondo di equity MCP INVESTMENTS S.A.R.L.,  la storia di GBM BANCA presenta più ombre che luci.

A dicembre 2009, con un investimento di circa 40 milioni di euro, GBM BANCA (Gruppo Bancario Mediterraneo), fondata dall’ex Presidente delle Poste Enzo Cardi, acquisisce l’ex Banca Federiciana di Andria con un progetto così ambizioso da vedere coinvolti personaggi italiani di grande spessore nonché pezzi di politica, prevalentemente legati al PD.

Principale azionista del Gruppo con il 15,4% era la ImmPro, finanziaria milanese facente capo ad alcuni imprenditori e professionisti baresi, tra i quali spiccavano le famiglie Cobol e Vitulano (Indeco). Altri investitori importanti: con il 9% il leccese Rino Morelli (Armafer), con il 5% la famiglia Pomarico (supermercati) e la belga Photonike, società che si era interessata a rilevare lo stabilimento barese della ex Om.

La struttura amministrativa, azzerata con la procedura di amministrazione straordinaria disposta con Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 1° ottobre 2015, era un vero e proprio modello di capitalismo di relazione.  Nel c.d.a. della banca sedevano l’ex Presidente Agcom Corrado Calabrò e Maurizio Romiti, nel comitato etico ci fu per un periodo anche l’ex commisario CONSOB Paolo Di Benedetto, marito dell’allora ministro Severino.


L’ingente investimento, però, non solo non ha fruttato un centesimo, ma il patrimonio è stato eroso da perdite che, nell’ultimo bilancio consolidato al 31.12.2014, ammontavano a circa  2,5 milioni. Nonostante questo, GBM avrebbe messo in atto operazioni spericolate tanto da finire spesso nel mirino di Bankitalia, con conseguenti pesanti multe per carenze nei controlli interni.

A inizio anno 2015, si era tentato un salvataggio della capogruppo GBM HOLDING sotto forma di aumento di capitale da 30 milioni, sottoscritto poi in pratica per solo 2,4 milioni. Così, in ottobre, il commissariamento, procedura che si è conclusa il 31 gennaio 2017 grazie al via libera della BCE, su proposta di Bankitalia, a procedere con il piano di risanamento attraverso la cessione al fondo di private equity MCP INVESTMENTS II Sarl per il 75,36% e alla NOVEMBRE UK Ltd (società riconducibile a Nicola Bonito Oliva, già manager di Dresdner Bnak Italia, e Filippo Cortesi, uno dei primi manager di Banca Sistema) per il 21,43%,  per un investimento totale di 27 milioni di euro: 20 milioni di ricapitalizzazione e 7 del prezzo di cessione.

Evitata, dunque, la liquidazione coatta, salvaguardati temporaneamente 35 posti di lavoro (a novembre 2017 verrà chiusa la sede storica di Andria, con conseguenti licenziamenti) ed i conti di circa 2500 clienti. Ma gli azionisti della prima ora?

Nella relazione dei Commissari Straordinari al Bilancio dell’Amministrazione Straordinaria dal 1 gennaio 2015 al 31 gennaio 2017, si legge una riduzione del valore nominale delle azioni da euro 1.000,00 a euro 246, con una perdita di oltre il 70%. Peraltro, non essendo quotata in borsa, le azioni di GBM BANCA non erano negoziabili sul mercato, come quelle di molti altri Istituti (v. Banca Etruria o Banca Popolare di Vicenza), ma cedibili solo a mezzo atto notarile, come per qualsiasi società non quotata. Poiché da anni la Banca naviga in cattive acque, va da sé che le quote in pratica erano invendibili, perché non si trovavano acquirenti.

La vicenda di GBM BANCA, con gravi perdite per risparmiatori ed azionisti (spesso indotti all’acquisto di quote per ottenere un fido aziendale garantito anche da fidejussioni personali…), si aggiunge alla drammatica storia degli Istituti di Credito pugliesi Banca Popolare di Bari, Banca Popolare della Puglia e Basilicata e Banca Popolare Pugliese. 

Racconti di ordinaria follia del sistema bancario italiano, che continua a mietere vittime da Nord a Sud tra i piccoli risparmiatori; già, perché i grandi investitori e gli amministratori delle banche sostanzialmente fallite ne escono sempre bene.


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