BANCHE NON QUOTATE. LO SCANDALO NELLO SCANDALO

BANCHE NON QUOTATE. LO SCANDALO NELLO SCANDALO

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Nell’intricata selva degli scandali bancari, poco si è parlato e molto poco si sa di quei circa 600.000 investitori soci delle Banche non quotate in Borsa, appesi ad un valore nominale di titoli che sostanzialmente non hanno mercato.

E pensare che sono molto più numerosi di quelli travolti in totale dal dissesto di Banca Marche, Banca Etruria, Carichieti e Cariferrara messie insieme, e il loro investimento (16 miliardi circa) vale dieci volte quello di chi pagò per il salvataggio di queste quattro banche.

A maggio 2017 un articolo su IL SOLE 24 ORE dava molto risalto all’approdo imminente per le banche non quotate sulla piattaforma digitale Hi-Mtf, strumento di incrocio tra domanda e offerta di titoli. Questo a seguito del sollecito della Consob in data 18 ottobre 2016, che con la comunicazione n. 92.492 raccomandava ben 500 banche di “avvalersi di una sede di negoziazione multilaterale”.

Ma il tutto stenta a partire e, ad oggi, improbabili accordi diretti con gli Istituti o cause legali sembrerebbero rappresentare l’unica speranza per questi figli di un dio minore, molto spesso vittime di un mercato di scambio vergognoso.

E allora vediamo qual era la modalità diffusa.

Nella maggior parte dei casi, trattandosi di Istituti non grandi, forti soprattutto di reti di conoscenze, si veniva presentati da qualcuno (un amico degli amici). Quindi, veniva aperto un c/c ad ottime condizioni e proposto un fido personale o aziendale, qualche volta entrambi. Le condizioni per accedere al fido erano, oltre ovviamente all’apertura del conto e al rilascio di fidejussioni personali di tutti i soci, l’acquisto di un pacchetto di quote azionarie della banca, presentato come un allettante affare, vista la fase di rilancio dell’Istituto. Una compravendita molto simile a quella di qualsiasi società, incluso un atto davanti ad un notaio nonché soggetta alla Tobin Tax.

Quasi sempre a vendere era la capofila del gruppo, come nel caso di GBM BANCA, detenuta per la maggioranza da GBM Holding S.p.A.. Infatti, qualche mese prima del crack, la Holding si liberò di più azioni possibili, cedendole ad investitori sprovveduti o costretti dal sostanziale ricatto: “do ut des”. Nel caso specifico, dopo il lungo periodo di Amministrazione Straordinaria, con una manovra a dir poco oscura, un’assemblea dei soci convocata a mezzo annuncio su IL SOLE 24 ORE, una comunicazione improvvisa quanto inaccessibile ai piccoli risparmiatori per l’esercizio del loro diritto di prelazione (l’offerta formulata da MCP INVESTMENTS era di € 7.101.998,00), si compiva l’operazione “carta straccia” ai danni di chi aveva acquistato quote azionarie di GBM BANCA dalla GBM Holding S.p.A. la quale, dopo aver portato allo sfascio il gruppo, è stata l’unica (ovviamente per conto dei suoi soci) ad ottenere un valore aggiunto dalla cessione del proprio pacchetto azionario.

Vere e proprie truffe costruite a tavolino da associazioni a delinquere di colletti bianchi, con la complicità di dipendenti, anch’essi costretti da una sorta di ricatto per mantenere il posto di lavoro. Ma i responsabili pagheranno?


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