Decommissioning lento sulle centrali nucleari? I costi li troveremo nelle bollette

Decommissioning lento sulle centrali nucleari? I costi li troveremo nelle bollette

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L’opera di smantellamento delle ex centrali nucleari italiane continua al rallentatore. Costi che troveremo sempre nelle bollette di fornitura elettrica.

In principio fu la centrale nucleare di Borgo Sabotino, oggi invece vige ladecommissioning, cioè lo smantellamento, di quei grandi ‘mostri’ sparsi un po’ in tutta Italia, che si rivelano un affare per Sogin, l’azienda dello Stato italiano (nasce in pancia all’Enel, ma poi nel 2000 le azioni vengono trasferite al Ministero dell’economia) responsabile dello smantellamento e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi.

Eh sì, dalla genesi della prima centrale nucleare (sorta a Borgo Sabotino, periferia marina a nord di Latina, nel maggio 1963) ad oggi, dove nel grottesco quadro italiano si assiste in modo rallentato al fenomeno dello smantellamento di quelle grandi aree industriali dopo il referendum del 1987 che decise il ‘no al nucleare’, sancito dopo il grave incidente ucraino nella centrale di Chernobyl. Grottesco, perché l’Italia ritenendo pericolosa la produzione di energia nucleare continua non solo però ad acquistarla per il fabbisogno interno ma anche perché non è immune da eventuali catastrofi in seguito a ipotetici incidenti, dato che i reattori nucleari attivi sparsi in Europa sono ben 148.

Ma veniamo al fenomeno del decommissioning, cioè lo smantellamento di quelle aree ad opera di Sogin: se sono quattro le centrali in cui si lavora per la messa in sicurezza delle scorie nucleari presenti, ancora non si comprende bene quando finirà l’opera. E questo perché i lavori presso le centrali di Latina, Sessa Aurunca (Caserta), Trino (Vicenza) e Caorso (Piacenza), continuano ad accumulare inspiegabili ritardi, indugi che gli italiani pagano ogni bimestre sulle bollette della fornitura elettrica. Quale l’anno di grazia in cui questa chiusura dei lavori dovrebbe avvenire? Si era ipotizzato il 2036, ma i ritardi qui si accumulano e di conseguenza slitterà anche la deadline, verosimilmente indicata già nel 2051.

Ancora: l’Italia, o meglio la Sogin, si scontra anche con la dura realtà del mercato e con l’emotività dell’opinione pubblica. A Caorso l’opera di smantellamento s’è arenata da un paio d’anni (!) perché il trattamento delle resine e dei fanghi radioattivi, appalto vinto da un’azienda slovacca, la Javis Jandrova, è fermo in seguito al mancato pass da parte delle stesse autorità slovacche. E ancora: all’interno della Sogin non si riesce a individuare da diversi anni l’area che ospiterà il Deposito nazionale dei rifiuti (immaginiamo già le barricate di ambientalisti, politici e affini).

Insomma, siamo proiettati nel futuro. Anche coi costi relativi che troveremo puntualmente spalmati sulle bollette di fornitura elettrica.


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