L'antica arte della fake news

L'antica arte della fake news

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Oggi esistono palazzi di cronisti che confezionano false notizie per influenzare le elezioni e i mercati. Ma è un sistema comprovato, più istantaneo e capillare grazie ai Social.

Non c’è pace tra i social. È l’effetto globalizzazione. L’effetto che ci si sente liberi di comunicare senza immaginare che in realtà siamo costantemente spiati e monitorati.

Sabina Guzzanti disse in relazione ai social, in particolare a Facebook, “non abbiamo opposto nemmeno resistenza, ci siamo consegnati spontaneamente”. Altro che Grande Fratello dalla griffe orwelliana, sadico e dominante, qui l’umanità è accorsa per farsi registrare e consegnare tutti i suoi dati più sensibili, salvo poi protestare quando viene violata la privacy dai mass media tradizionali. Una contraddizione palese e un ossimoro sociale. Quindi nessuna sorpresa quando influencer dalla grinta rassicurante approfittano della più grande popolazione mondiale (appunto il social Facebook) per influenzare una singola popolazione durante le campagne politiche o scelte economiche.
Abbiamo assistito nei giorni scorsi alla denuncia di Vitalij Bespalov, rampante giornalista russo, assunto da una società filogovernativa a San Pietroburgo per scrivere (meglio, riscrivere) le notizie direttamente da una scrivania, cercando di condizionare, determinare, suggestionare i destini di Trump e Macron, incensando o dileggiando a seconda dei casi e dei momenti. Ma il fantathriller ormai ce l’abbiamo in casa, come preconizzato dallo scrittore friulano Tullio Avoledo. Intanto, da grigi edifici di San Pietroburgo, un esercito impiegatizio di cyberfanti modula e rimodula news a seconda di come possano influenzare chi ignaro le riceve, fake news create ad arte per destabilizzare (o stabilizzare…).

Abbiamo appreso del carosello della menzogna durante la campagna elettorale americana, ma la gola profonda russa al soldo di Putin narra anche di una sezione ‘Ucraina’, che riscriveva i pezzi giornalistici per darli poi in pasto a chi legge. E chissà quante altre sezioni esistono. Ma il Male non ha le ‘eterne’ sembianze dei russi, oggi anche gli inglesi fanno concorrenza a quello che il mondo occidentale chiamava una volta Impero del Male: infatti, qualche giorno fa è stato denunciato il mago della politica online Alexander Nix, ceo di una società britannica che razziava profili Facebook (a proposito, lo sapete che esistono società che vendono follower per i social? Ecco, spiegato perché qualche star e starlette hanno un così impressionante numero di ‘mi piace’ Facebook, Instagram e Twitter) per condizionare scelte e decisioni oltre che influenzare le campagne elettorali negli Usa, Italia (ohibò) e Inghilterra.

Del resto, nella home page dell’azienda inglese campeggia un sintomatico ‘Usiamo dati per cambiare il comportamento dell’audience’. Certo, per chi fa informazione e comunicazione, nessuna novità: è sufficiente modulare il verbo da attivo a passivo e viceversa per cambiare l’azione, basta un sostantivo per mutare e descrivere il senso di una frase, è valido creare una suggestione estetica per proiettare il lettore (sempre ignaro) in un ‘altrove’, poichè quello che sta leggendo è differente dal reale. È un modus operandi che nel mondo giornalistico non ha mai cessato di crescere.

Oggi, certo, coi social, la fake news è dilagante per istantaneità, immediatezza e diffusione.
Ancora, oggi su Facebook si può giocare con le finte identità (in gergo i troll), registrando persone virtuali che però umane non sono. Blogger, autori di notizie, diffuse dal social media market e poi commentate dai troll: la sottile linea della menzogna costruita ad arte.


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